Il risveglio di Sagittarius A*

Dopo 15 anni di osservazioni, tre telescopi spaziali hanno rivelato un incremento dell’emissione di raggi X sotto forma dibrillamenti dal quieto, come è di solito, buco nero supermassiccio che risiede nel nucleo della Via Lattea. Gli scienziati stanno tentando di capire se si tratta di un comportamento “ordinario”, che non è stato rivelato prima a causa della mancanza di dati, o se, invece, questi brillamenti sono dovuti al recente passaggio ravvicinato di un misterioso oggetto composto di gas e polvere. I risultati di questo studio sono riportati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Dopo un lungo periodo di osservazioni, gli astronomi hanno potuto monitorare l’attività di Sagittarius A* (Sgr A*), grazie a tutta una serie di dati che sono stati raccolti dall’osservatorio spaziale Chandra, dal satellite XMM-Newton e dal satellite Swift. Sgr A* “pesa” poco più di 4 milioni di masse solari e i raggi X sono prodotti dal gas caldo che precipita verso il buco nero. Gli autori hanno analizzato i dati di 150 osservazioni che sono state eseguite, in particolare, da Chandra e XMM-Newton dal Settembre 1999 al Novembre 2014. I risultati suggeriscono un incremento della frequenza e luminosità dei brillamenti avvenuto subito dopo la metà del 2014, cioè alcuni mesi dopo il passaggio ravvicinato di un oggetto, molto probabilmente una nube di gas e polvere, denominato G2Le osservazioni indicano che Sgr A* sta producendo un brillamento X ogni 10 giorni. Ad ogni modo, nel corso dell’ultimo anno, c’è stato un incremento di 10 volte nel tasso di produzione dei brillamenti, circa uno al giorno. «Abbiamo monitorato per diversi anni l’emissione X di Sagittarius A*, tra cui il passaggio ravvicinato di G2», spiega Gabriele Ponti del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics in Germania e autore principale dello studio. «Circa un anno fa, pensavamo che questo oggetto non avesse alcun effetto su Sgr A* ma i nostri dati più recenti suggeriscono la possibilità che non sia così». Inizialmente, gli astronomi hanno ritenuto che G2 fosse una nube estesa di gas e polvere, così come è stato affermato più recentemente in un altro studio di alcuni ricercatori del Max Planck (vedasi l’articolo Si riapre il ‘caso G2’). Dopo il passaggio ravvicinato con Sgr A*, verso la fine del 2013, la sua apparenza non è cambiata molto, tranne per il fatto che l’oggetto è stato “allungato” dalla gravità esercitata dal buco nero. Da qui sono emerse delle teorie secondo cui G2 non è semplicemente una nube di gas, piuttosto si tratta di una stella avvolta in una sorta dibozzolo polveroso” esteso (vedasi l’articolo Risolto il mistero di G2 in cui uno studio americano sostiene invece che si tratti di una stella). «Non c’è un accordo comune su che cosa sia in definitva G2», diceMark Morris della University of California a Los Angeles e co-autore dello studio. «Tuttavia, il fatto che Sgr A* è diventato più attivo subito dopo il passaggio di G2 suggerisce che la materia che si è separata da questo oggetto può aver causato un aumento del tasso di rifornimento di altro materiale a favore del buco nero». Mentre il passaggio di G2 e l’aumento di raggi X da parte di Sgr A* è alquanto intrigante, gli astronomi osservano altri buchi neri che sembrano comportarsi in maniera simile al buco nero della Via Lattea. Dunque, è possibile che questo incremento di attività da parte di Sgr A* possa essere una caratteristica generale dei buchi neri e perciò non necessariamente correlata con il passaggio di G2. Ad esempio, l’aumento dell’attività X potrebbe essere dovuta ad una variazione dell’intensità dei venti stellari provenienti dalle vicine stelle massive che stanno alimentando il buco nero. «È ancora troppo presto per esserne sicuri, ma durante i prossimi mesi terremo un occhio attento all’emissione X da parte di Sgr A*», dice Barbara De Marco del Max Planck Institute e co-autrice dello studio. «Speriamo che ulteriori osservazioni ci diranno alla fine se G2 sarà davvero il responsabile dell’attività di Sgr A* o se, invece, essa sia parte di un comportamento tipico del buco nero». Insomma, se la spiegazione di G2 è corretta, l’incremento della luminosità dei brillamenti X potrebbe essere il primo segnale legato all’eccesso di materia che si è staccato dalla nube a causa del suo passaggio ravvicinato e ora sta cadendo verso il buco nero essendo catturato dalla sua enorme forza gravitazionale. A questo punto, esso potrebbe aver già iniziato ad interagire con il materiale caldo che a sua volta sta precipitando verso Sgr A*, alimentandolo sempre più di gas che alla fine sarà consumato dal buco nero.
di Corrado Ruscica (INAF)

Si riapre il ‘caso G2’: nube o stella?

Potremmo tranquillamente ribattezzarlo il “caso G2”, in perfetto stile forense. Vari gruppi di ricerca stanno portando infatti da anni “prove” fatte di osservazioni, simulazioni al computer e deduzioni, per risolvere un enigma che infervora gli scienziati coinvolti nello studio della nostra Galassia. Ma andiamo per ordine, riassumendo gli “atti” finora raccolti. G2 è la sigla di un oggetto prossimo al buco nero al centro della Via Lattea, la cui stessa natura è assai dibattuta. E’ stato scoperto da un team di ricercatori del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik in Germania guidati da Stefan Gillessen nel 2011, che lo descrissero come una nube di gas (principalmente idrogeno ed elio), fredda e prossima al buco nero supermassiccio che risiede nel centro della nostra Galassia, ovvero Sagittarius A*. Così vicina da far ritenere loro che il suo destino fosse quello di precipitare in tempi brevi nello stesso buco nero.  Alcuni astronomi tuttavia non si sono mai mostrati convinti né dell’ipotesi dell’ingestione né che addirittura G2 fosse una nube di gas. Altre indagini, condotte questa volta con il telescopio Keck alle isole Hawaii sotto la guida di Andrea Ghez dell’UCLA, hanno portato appena qualche giorno fa ad un netto ribaltamento dello scenario. G2 sarebbe una stella di grande massa, frutto della recente fusione di un sistema binario, che nel passaggio ravvicinato con Sagittarius A* avrebbe perso solo una frazione del suo inviluppo esterno di gas e si sarebbe quindi mantenuta ancora intatta dopo il pericoloso fly-by del buco nero. Tutto chiarito dunque? Neanche per idea. La prova d’appello che ‘riabilita’ G2 al rango di nube di gas è stata portata in queste ultime ore, e proprio dal team del Max Planck che la aveva scoperta tre anni fa, con un articolo accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal. I ricercatori hanno infatti studiato G2 nell’infrarosso con il telescopio VLT dell’ESO e lo strumento SINFONI, giungendo alla conclusione che la sua struttura e la sua traiettoria sono in accordo con quelle di una nube di gas che sta subendo un processo di distruzione mareale sotto l’intenso campo di attrazione gravitazionale esercitato da Sagittarius A*. Ma non è tutto. Il riesame accurato dei nuovi dati e di quelli già raccolti in passato su G2 rivela un’inaspettata conclusione. «Quasi dieci anni fa, sempre in prossimità del centro della Galassia, è stata osservata un’altra nube di gas, che ora abbiamo ribattezzato G1» sottolinea Stefan Gillessen. «Abbiamo indagato possibili relazioni tra questa e G2, scoprendo una incredibile somiglianza nelle loro orbite». Gillessen si riferisce all’analisi fatta dal suo team in base a osservazioni compiute tra il 2004 e il 2008. Le informazioni hanno permesso dapprima di ricostruire l’orbita di G1, che è stata poi inserita, insieme a quella di G2, in un modello teorico che descrive l’evoluzione di queste strutture. Dalla simulazione è emerso che si tratterebbe di due nubi prodotte da un unico flusso di gas iniziale. «Il buon accordo del modello con i dati rende plausibile l’idea che G1 e G2 siano due parti di uno stesso ammasso di gas» dice Gillessen. Questo materiale potrebbe essere stato espulso un centinaio d’anni fa da una delle stelle massicce del disco della Via Lattea  prossime al centro. Meno probabile, almeno a quanto indicano le osservazioni del VLT, che G2 sia una stella di grande massa, come ribadito da Ghez e collaboratori. Chi la spunterà? Difficile dirlo ora. Di sicuro però c’è che il “caso G2” è tutt’altro che archiviato.
di Marco Galliani (INAF)

Risolto il mistero di G2: non è una nube ma una stella

G2 è uno degli oggetti più studiati della Via Lattea ma da sempre è stato avvolto da un alone di mistero che ha affascinato gli astronomi di tutto il mondo. Negli ultimi anni l’arcano è ruotato su due interrogativi: è una stella o una nube di gas? Verrà distrutta dal buco nero della nostra galassia? Intravista dagli astronomi nel 2002 ma studiata per la prima volta solo dal 2011 da Stefan Gillessen (un astronomo del Max-Planck-Institut per la fisica extraterreste), si è sempre pensato che fosse una fredda e grande nube di polvere e gas (idrogeno) in veloce e drammatico avvicinamento verso il buco nero della Via Lattea, Sagittarius A* . Da tempo, però, gli astronomi dubitavano su questa teoria, pensando, invece, che al centro di questa nube ci fosse una grande stella. Ma come si è formata? Da dove viene? Il mistero è stato risolto da un gruppo di ricercatori dell’UCLA che hanno usato  i grandi telescopi del W.M. Keck Observatory alle Hawaii. Gli ultimi dati sono stati raccolti durante il massimo avvicinamento di G2 al buco nero supermassiccio, avvenuto questa estate (l’oggetto segue un’orbita ellittica di 300 anni, decisamente eccentrica) e che ha deluso amatori ed esperti che speravano di assistere a uno spettacolo pirotecnico nei pressi di Sgr A*. Qualche mese fa Andrea Ghez, ricercatrice a capo del team, aveva detto: «Se è una nube di polvere, non si vedrà nulla; se è una stella, allora sì». E’ stato proprio così: le ottiche adattive dei telescopi Keck non sono passate attraverso la nube ma si sono “scontrate” con una stella. Dopo diverse notti passate col naso all’insù ad osservare in direzione di Sgr A* (che ha una massa stimata di 4 milioni di volte il Sole), i ricercatori hanno potuto adesso affermare che G2 non era il destinato pasto per il nostro buco nero, bensì un oggetto che gli orbita attorno. Nel paper “Detection of galactic center source G2 at 3.8 μm during periapse passage”, pubblicato sul numero di novembre della rivista Astrophysical Journal Letters, Ghez, la quale ha studiato migliaia di stelle S attorno a Sgr A*, ha ipotizzato che G2 fosse in passato un sistema stellare binario e che, a causa della potente forza di gravità del buco nero, si sia fuso “di recente” in una sola grande stella. In precedenti studi Ghez e il suo team avevano già osservato che nella nostra galassia le stelle massicce provengono principalmente da sistemi binari e che, cadendo nel centro galattico, vengono poi divise o si fondono in un’unica grande stella. «E’ ciò che rende questo scenario così attraente. Senza il buco nero, il sistema stellare binario sarebbe sopravvissuto sotto forma di due stelle», ha detto a Media INAF la ricercatrice statunitense. Durante il massimo avvicinamento, la stella G2 ha subito solo un’abrasione allo stato esterno. Il fenomeno è stato visibile proprio perché si tratta di una stella e non di una semplice nube di gas e polvere, che sarebbe stata, altrimenti, letteralmente “ingoiata” dal buco nero. «Stiamo osservando un fenomeno attorno a un buco nero che non può essere visto altrove nell’Universo», ha aggiunto la Ghez. «Cominciamo solo adesso a capire la fisica dei buchi neri in un modo che non era stato possibile in passato».  Ha spiegato: «Il fulcro dell’osservazione è che G2 è sopravvissuta al massimo avvicinamento con il buco nero. Sono due i modi con cui è stato rilevato l’oggetto: prendendo in considerazione il gas, che sembra essere riscaldato esternamente dalle stelle vicine, e poi la polvere, che sembra, invece, essere riscaldata internamente, cioè da una stella centrale che fornisce il calore tramite le sue radiazioni». «La luminosità della stella – continua la ricercatrice – indicherebbe che si tratti di un oggetto 2 volte la massa del Sole, ma, per altre caratteristiche, in realtà sembra essere molto più grande di una tipica stella confermando di essere frutto della fusione tra due stelle di un sistema binario». Quando due stelle vicino al buco nero si fondono in una sola, la stella si espande per più di 1 milione di anni prima di assestarsi, ha spiegato Ghez: «Questo può accadere più spesso di quanto pensiamo. Le stelle al centro della galassia sono enormi e perlopiù sistemi binari ed è possibile che molte delle stelle che abbiamo osservato negli ultimi anni siano il prodotto finale di fusioni». G2, ancora nella sua fase intermedia di fusione, è stato un oggetto che ha a lungo affascinato gli scienziati. «Il suo approccio al buco nero super massiccio di questa estate è stato uno degli eventi più seguiti in astronomia nella mia carriera», ha sottolineato Ghez, secondo la quale G2 sta attraversando quella che lei ed altri esperti chiamano fase della “spaghettificazione” (quando grandi oggetti passano vicino al buco nero si allungano come se fossero plastici ed elastici). Per studiare l’oggetto i ricercatori hanno utilizzato il Laser guide star adaptive optics system (LGSAO) e la Near-infrared camera (NIRC2) utilizzando due bande del vicino infrarosso. I prossimi passi per Ghez e il suo team saranno orientati a «capire la frequenza con cui questi fenomeni si verificano e capire cosa comporta nella crescita del buco nero».
di Eleonora Ferroni (INAF)

Ai confini del buco nero centrale

Rimane un enigma, il buco nero supermassicio che alberga al centro della Via Lattea. Di Sagittarius A*, questo il suo nome, sappiamo che ha una massa pari a circa 4 milioni di volte quella del nostro Sole e che sta attraversando una fase di quiete, a differenza dei suoi colleghi al cuore delle AGN: galassie, appunto, dal nucleo attivo. Ma benché sia il buco nero supermassiccio della nostra galassia, dunque quello che in teoria dovremmo conoscere meglio, nemmeno siamo in grado di dire con certezza se la materia che lo avvolge vi sta cadendo dentro o ne è stata espulsa fuori. Una serie di osservazioni condotta con due fra i radiotelescopi più moderni, il russo RadioAstron (dallo spazio) e l’americano VLBA (da terra), i cui risultati sono pubblicati sull’ultimo numero di The Astrophysical Journal Letters, potrà però aiutarci a conoscere meglio la geografia della regione che lo circonda, e dunque i processi in atto là attorno al buco nero.
Analizzando le immagini in arrivo dal gigante russo (RadioAstron è il più grande radiotelescopio mai messo in orbita), un professore di fisica dell’Università di California a Santa Barbara (UCSB), l’astronomo Carl Gwinn, aveva notato la presenza di una sorta di grumi, di piccole irregolarità che non avrebbero dovuto esserci. Anomalie che, come ha scoperto in seguito uno degli studenti di dottorato di Gwinn, Michael Johnson (ora allo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics), potrebbero rivelarsi preziose per riuscire a stimare la dimensione della sorgente sottostante. Al punto da convincere i ricercatori a condurre una seconda serie d’osservazioni, questa volta da terra, utilizzando i 10 radiotelescopi del Very Long Baseline Array e la parabola da 100 metri del Green Bank Telescope.
Risultato? «Abbiamo scoperto che la regione di emissione», spiega Johnson riferendosi al disco che circonda il buco nero, «è grande appena 20 volte il diametro dell’orizzonte degli eventi così come apparirebbe dalla Terra. E con osservazioni aggiuntive potremo cominciare a comprendere il comportamento di questo ambiente estremo». La misura della regione d’emissione è infatti solo il primo passo. L’obiettivo finale degli autori dello studio è giungere a ottenere «una semplice immagine di come la materia cade in un buco nero o viene espulsa da esso. Sarebbe davvero emozionante», dice Gwinn, «riuscire a produrre un’immagine del genere».
Redazione Media Inaf

Al centro della Via Lattea

Il Centro della Via Lattea, noto anche come Centro Galattico, è il centro rotazionale della Via Lattea; si trova a circa 7900 ± 430 parsec (26000 ± 1400 anni-luce) dalla Terra, in direzione della costellazione del Sagittario, nel punto in cui la Via Lattea appare più luminosa. Questa parte della galassia è rimasta misteriosa per molto tempo e solo recenti osservazioni, rese possibili dai grandi telescopi europei dell’emisfero australe, hanno confermato ciò che gli scienziati ipotizzavano da tempo: che al centro della Via Lattea (e forse di tutte le galassie) ci fosse un buco nero. A causa delle fredde polveri interstellari sulla linea di vista, il Centro Galattico non può essere studiato alle lunghezze d’onda del visibile, né dell’ultravioletto, né dei raggi X a debole frequenza; tutte le informazioni di cui disponiamo ci sono fornite dall’osservazione a raggi gamma, raggi X a forte frequenza, infrarossi e onde radio. Le coordinate del Centro Galattico furono calcolate e presentate per la prima volta dall’astronomo Harlow Shapley nel suo studio sulla distribuzione degli ammassi globulari del 1918. La complessa radiosorgente Sagittarius A si trova esattamente al centro della Via Lattea, e contiene al suo interno la forte radiosorgente Sagittarius A*, la quale viene considerata da molti astronomi un buco nero supermassiccio. L’oggetto appare circondato da una notevole massa di gas ionizzato, che sembra precipiti al suo interno. Il parsec centrale attorno a Sagittarius A* contiene centinaia di stelle. Sebbene la gran parte di queste siano vecchie stelle rosse sulla Sequenza principale, sono presenti anche diverse stelle di grande massa: sono state infatti identificate più di cento stelle di popolazione OB e di Wolf-Rayet, le quali sarebbero nate a seguito di un unico evento di formazione stellare che ebbe luogo pochi milioni di anni fa. L’esistenza di queste stelle relativamente giovani fu una sorpresa per gli esperti, che ipotizzavano che la forza mareale del buco nero avrebbe contrastato la loro formazione. Questo cosiddetto “paradosso della giovinezza” è ancor più notevole in stelle che hanno un’orbita molto stretta attorno a Sagittarius A*, come le stelle S2 e S0-102. Le ipotesi prevalenti affermano che quest’ammasso di stelle supermassicce si sarebbe formato al di là del Centro Galattico, e che poi sarebbe migrato in direzione di Sagittarius A attratto dalla corrente gravitazionale, o che si sarebbe formato in loco, grazie alla stessa forza gravitazionale che avrebbe contratto la grande nube del disco di accrescimento del buco nero. È interessante notare che molte di queste stelle giovani e massicce sembrano essere concentrate in uno (UCLA) o due (MPE) dischi, piuttosto che distribuite in modo casuale all’interno del parsec centrale. La formazione stellare non sembra tuttavia avvenire attualmente all’interno del Centro Galattico, sebbene il Disco Circumnucleare (CND) di gas molecolare orbitante a due parsec da Sagittarius A* sembri essere un sito favorevole all’evento. Un lavoro di mappatura della densità del gas in una regione di 400 anni-luce attorno al Centro Galattico presentato nel 2003 da Antony Stark e Chris Martin ha rivelato un anello di accumulo la cui massa supera di diversi milioni di volte quella del Sole e prossimo alla densità critica adatta alla formazione stellare. Le loro conclusioni sono che in circa 200 milioni di anni potrebbe verificarsi nel Centro Galattico uno starburst, ossia un violento episodio di formazione stellare, con stelle supermassicce che rapidamente evolvono in supernovae; lo starburst, come osservato in altre galassie, si accompagna spesso alla formazione di getti galattici ai poli. La Via Lattea, secondo questo studio, potrebbe diventare una “galassia starburst” entro 500 milioni di anni.

Sagittarius A (abbreviazione standard Sgr A) è una radiosorgente luminosa e molto complessa, posta al centro della Via Lattea, nella costellazione del Sagittario. Appare fortemente oscurata dalle nebulosità oscure presenti nei bracci di spirale antistanti. Sagittarius A è formato da tre componenti: il resto di supernova Sagittarius A Est, la struttura spiraliforme Sagittarius A Ovest e una sorgente di onde radio molto brillante e compatta al centro della spirale della struttura ovest, chiamata Sagittarius A*.

Sagittarius A Est

È una struttura le cui dimensioni si aggirano sui 25 anni-luce; ha l’aspetto di un resto di supernova, probabilmente ciò che rimane di un’esplosione avvenuta tra i 10.000 ed i 100.000 anni fa. Per creare una simile struttura, l’esplosione deve essere stata dalle 50 alle 100 volte più potente di una normale esplosione di supernova; si suppone che Sgr A Est sia ciò che resta di una stella entrata nel campo gravitazionale del buco nero centrale, dal quale la sua massa sarebbe stata fortemente compressa e deformata. Questa sorgente emette radiazione di sincrotrone, quindi non termica.

Sagittarius A Ovest

Ha l’aspetto di una spirale a tre bracci, e per questa ragione è conosciuta col nome di “Minispirale”. Tuttavia, sia l’aspetto che il soprannome possono trarre in inganno: infatti, la vera struttura tridimensionale dell’oggetto non ha l’aspetto di una spirale; Sgr Ovest è formato da polveri e nubi interstellari, attirate dall’orbita di Sagittarius A*, nel quale precipitano ad una velocità di circa 1000 km/s. I gas dei Sagittarius A Ovest sono ionizzati, grazie alla presenza di una popolazione OB di oltre un centinaio di stelle posto nelle vicinanze. Sgr A Ovest è inoltre circondato da una massa di gas molecolare più fredda, il “Disco Circumnucleare” (CND). La natura e la cinematica del braccio settentrionale di Sgr A Ovest suggerisce che in precedenza era parte del CND, e che in seguito “cadde” a seguito di perturbazioni, come quella che avrebbe potuto generare l’esplosione dell’oggetto che creò Sgr A Est. Il braccio nord appare come una cresta di emissione estesa in senso nord-sud, molto luminosa. L’arco occidentale è invece interpretato come una nube ionizzata nella parte interna del CND. Il braccio esterno e la barra sembrano essere due grandi nubi simili a quelle del braccio settentrionale, sebbene non abbiano in comune la stessa orbita planare. La loro massa è stata stimata pari a quella di circa 20 masse solari ciascuno. Oltre queste grandi strutture principali, possono essere osservate piccole fessure e “buchi” fra le nubi, la più notevole delle quali è chiamata “Minicavità”; la sua origine potrebbe essere dovuta al vento solare di una stella massiccia non chiaramente identificata.

Sagittarius A*

Molti astronomi credono che al centro della Via Lattea ci sia l’evidenza di un buco nero supermassiccio; se questa teoria fosse vera, Sagittarius A* sarebbe di certo il principale candidato per essere il luogo in cui vi si trova. Si tratta di una potente radiosorgente, al centro della struttura spiraliforme di Sgr A Ovest. Il Very Large Telescope e il Keck Telescope hanno identificato delle stelle la cui orbita è fortemente influenzata da quest’oggetto, al punto da ruotargli intorno a velocità nettamente superiori a quelle delle normali orbite stellari. Una di queste stelle, catalogata come S2, sembra vi orbiti attorno con una velocità superiore ai 5000 km/s.

Sagittarius A*: buco nero o wormhole

Uno degli oggetti più straordinari della Via Lattea è Sagittarius A* (l’asterisco si pronuncia star), una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa localizzata nel centro della nostra galassia. Da quando è stata scoperto, nel 1974, sono state compiute numerose osservazioni di questo piccolo oggetto e delle stelle vicine, alcune delle quali vi orbitano attorno a velocità pazzesche. Questo implica che Sagittarius A* deve essere estremamente massiccio ma anche – essendo così piccolo – estremamente denso. La descrizione perfetta di un buco nero supermassiccio, la cui presenza gli astrofisici ritengono ormai imprescindibile per ogni galassia di un certo rango. Nel nostro caso, si è stimato che Sagittarius A* contenga una massa equivalente a quella di 4 milioni di Soli in un volume assai modesto, non molto più grande dell’orbita di Mercurio. Sagittarius A*, nonostante la sua relativa vicinanza, è difficile da osservare e nasconde ancora moltissimi segreti sulla sua reale natura. Per svelare quei segreti, ma soprattutto per ottenere una visione quanto più diretta possibile di fenomeni relativistici estremi, gli astronomi hanno messo in campo almeno un paio di progetti per scrutare gli immediati dintorni di Sagittarius A*. Il progetto Event Horizon Telescope, a cui collabora l’INAF, prevede di far lavorare assieme in interferometria, entro il prossimo decennio, un grande numero di radiotelescopi. Già dal prossimo anno dovrebbe invece entrare in funzione lo strumento GRAVITY, un interferometro per frequenze infrarosse in costruzione al VLTI, il Very Large Telescope Interferometer dell’ESO, nel deserto di Atacama del Cile settentrionale. Questo dispositivo avrà una risoluzione tale da potere distinguere le nubi di plasma vorticanti intorno a Sagittarius A*, e poter così confermare la sua natura di buco nero. Ma gli scienziati non si accontentano, e provano a immaginare anche che “tipo” di buco nero potrebbe essere. Impresa non facile, come racconta a Media INAF Cosimo Bambi, fisico italiano che coordina alla Fudan University di Shanghai un gruppo di ricerca sulla fisica dei buchi neri, gruppo a cui si deve uno studio in via pubblicazione su Astrophysical Journal riguardo a quello che sarà possibile scoprire con lo strumento GRAVITY sulla natura di Sagittarius A*. “I buchi neri della relatività generale in 4 dimensioni (1 temporale e 3 spaziali) sono chiamati buchi neri di Kerr”, spiega Cosimo Bambi, “e sono completamente caratterizzati dalla loro massa e dal loro spin. Se consideriamo la relatività generale in 5 o più dimensioni, oppure teorie alternative alla relatività generale, possiamo trovare altri tipi di buchi neri. Non possiamo poi escludere il fatto che oggetti astrofisici che oggi riteniamo essere buchi neri in realtà non lo siano”. In termini generali, buchi neri diversi da quelli di Kerr possono essere caratterizzati da una forza gravitazionale più forte o più debole di quella intorno ad un buco nero di Kerr. “Se si vanno a studiare le proprietà della radiazione emessa da un gas intorno ad un buco nero,” continua Bambi, “le differenze fra buchi neri di Kerr ed altri buchi neri sono solitamente piccole. La differenza più importante è che il raggio interno del disco di accrescimento dipende dal tipo di buco nero, per cui in linea di principio si può capire se un buco nero è o meno di Kerr da qualche osservabile che dipende dal raggio interno del disco. Il problema è che tale raggio dipende anche dallo spin e quindi alla fine non è semplice capire con che buco nero abbiamo a che fare.” Questo approccio porta a una conclusione intrigante: le analisi di GRAVITY ci permetterebbero di distinguere se al centro della Via Lattea non risieda un buco nero qualunque, benché supermassiccio, ma un wormhole, un cunicolo spazio-temporale che connette la nostra regione di spazio ad un altro punto dell’Universo o, addirittura, a un altro universo. Il perché ce lo spiega ancora Bambi, che ha prodotto sull’argomento un altro studio attualmente in fase di revisione alla rivista Physical Review D. “Nel caso di altri candidati, come i wormhole”, riprende il ricercatore, “le differenze sono più marcate e quindi è più facile distinguere un buco nero di Kerr da un wormhole. Nel lavoro con il mio studente, Zilong Li, mostriamo come l’immagine apparente di un blob di plasma che orbita molto vicino ad un wormhole risulti sensibilmente più piccola rispetto a quella di uno orbitante intorno ad un buco nero di Kerr. Il motivo è che la deflessione di raggi luminosi vicino a questi oggetti è diversa”. Riassumendo, se al centro della Via Lattea c’è un cunicolo spazio-temporale, lo verremo a sapere molto presto, forse già il prossimo anno quando è prevista l’entrata in funzione di GRAVITY. L’idea che dei wormhole, ovvero dei ponti di Einstein-Rosen, possano esistere al centro delle galassie non è così inverosimile come può sembrare. Innanzitutto, i wormhole sono consentiti come singolarità all’interno della Relatività Generale. La loro presenza potrebbe poi risolvere un problema negli attuali modelli di formazione galattica: i buchi neri supermassicci, la cui attrazione gravitazionale è necessaria per tenere assieme le galassie in via di formazione, non avrebbero teoricamente avuto il tempo di crescere così tanto. Un problema che non tocca i wormhole, emersi in un batter d’occhio durante il periodo iniziale d’espansione dell’Universo, quindi immediatamente disponibili per innescare la formazione delle prime galassie. Le analisi compiute grazie a GRAVITY forniranno un affascinante spaccato sul mostro cosmico a cui dobbiamo, pare, l’esistenza stessa della galassia in cui viviamo. La conferma che si tratta di un buco nero supermassiccio sarà importante, ma la scoperta che si tratta di un wormhole sarebbe, a dir poco, strabiliante.
di Stefano Parisini (INAF)

Chandra svela il getto di Sgr A*

L’osservatorio orbitante a raggi X della NASA Chandra ci stupisce con una nuova scoperta. Un gruppo di ricercatori, utilizzando anche il radio telescopio Very Large Array (VLA), ha finalmente trovato prove quasi certe della presenza di un potente getto proveniente da Sagittarius A* (Sgr A*), il massiccio buco nero al centro della nostra Via Lattea (almeno 4 milioni di volte più massiccio del Sole). Le scrupolose ricerche sono andate avanti per decenni, usando anche altri strumenti, ma mai finora erano riuscite a confermare tale ipotesi. Come nascono questi getti? Gli scienziati ritengono che si formino quando del materiale galattico cade al centro del buco nero, che lo respinge all’esterno. Sgr A* è un buco nero che si trova a 26 mila anni luce dalla Terra e, almeno negli ultimi secoli, è poco attivo (vuol dire che ingloba poco materiale) ed è per questo che il getto non è molto visibile ed è debole. Lo studio è stato effettuato dal settembre 1999 al marzo del 2011, con un totale di 17 giorni di esposizione. I getti di particelle ad alte energie sono stati studiati già in passato e si trovano in tutto l’Universo e sono prodotti da giovani stelle o da buchi neri anche migliaia di volte più grande della nostra galassia. A cosa servono? Trasportano grandi quantità di energia dal centro dell’oggetto e regolano così, in certo senso, la formazione delle nuove stelle in zone limitrofe. Dalle ultime osservazioni si nota che l’asse di rotazione di Sgr A* punta nello stesso verso dell’asse di rotazione della Via Lattera. Questo suggerisce agli studiosi che gas e polvere sono migrati costantemente nel buco nero negli ultimi 10 miliardi di anni. Il getto produce raggi X rilevati da Chandra e le emissioni radio, invece, sono state catturate dal VLA. Le due prove maggiori dell’esistenza del getto sono una linea retta di raggi X che emette gas puntando verso Sgr A * e un’onda d’urto vista nei dati di VLA, dove il getto sembra scontrarsi col gas. Inoltre, lo spettro di Sgr A * assomiglia a quella dei getti provenienti da buchi neri supermassicci in altre galassie.
di Eleonora Ferroni (INAF)

Chandra studia Sagittarius A*

Perché stare a dieta quando potresti tranquillamente mangiare tutto quello che ti capita a tiro? Eppure è proprio quello che sembra fare il buco nero supermassiccio che si trova al centro della nostra galassia, chiamato dagli astronomi Sagittarius A*, o più brevemente Sgr A*. In teoria il buco nero (per ovvi motivi il più facile da studiare tra i buchi neri supermassicci che si trovano al centro della maggior parte delle galassie) dovrebbe divorare, con la sua attrazione gravitazionale, qualunque oggetto si trovi nelle sue vicinanze. Eppure l’emissione radio dalla zona circostante il buco nero (causata proprio dal suo accrescimento, cioè dalla caduta di materiale al suo interno) è sorprendentemente debole, e la stessa cosa avviene anche per altri buchi neri individuati al centro di altre galassie. “E’ sempre stato un mistero perché la maggior parte di questi buchi neri abbiano un’emissione così debole” spiega Daniel Wang, un astrofisico dell’Università del Massachusetts. Sull’ultimo numero di Science, Wang e il suo gruppo danno un importante contributo alla soluzione del mistero. L’emissione di raggi X proveniente da Sgr A* si può descrivere, come mostrano Wang e colleghi, come la sovrapposizione di una sorgente puntiforme (il buco nero stesso) e di una nuvola molto più ampia, al cui interno si possono identificare più di cento stelle, e presupporne un altro migliaio troppo deboli per essere rilevate. Molte di queste stelle sputano fuori gas caldo sotto forma di venti stellari, che in teoria dovrebbero essere risucchiati dal buco nero. Sempre in teoria, questo dovrebbe portare a un accrescimento del buco nero pari a circa un centomillesimo della massa solare ogni anno. E questo fenomeno dovrebbe rendere la regione immediatamente attorno al buco nero molto, molto più brillante di quanto effettivamente sia. Che succede in realtà? Per rispondere, i ricercatori hanno utilizzato il satellite per lo studio dei raggi X della NASA Chandra, in grado di compiere osservazioni in raggi X con una risoluzione angolare maggiore di qualunque altro strumento attualmente disponibile. Grazie ad esso hanno studiato la zona circostante il buco nero Sgr A*, riuscendo a distinguere le diverse sorgenti che emettono raggi X (il buco nero di per sé è, per l’appunto, nero, e da esso non esce alcuna radiazione) e la temperatura e densità dei gas nella parte centrale della galassie. In questo modo hanno capito che nelle immediate vicinanze del buco nero vi sono, oltre a stelle di piccola massa, anche molte stelle di grande massa. Queste stelle sono associate a venti molto potenti e veloci, che causano vortici e perturbazioni con l’effetto di riscaldare molto il gas nelle vicinanze del buco nero. Il tutto è compatibile con alcuni modelli teorici di accrescimento, secondo cui il gas a queste alte temperature diventa più difficile da “ingoiare” per il buco nero, con il risultato che circa il 99 per cento di esso viene risputato nello spazio. Solo una piccola parte finisce effettivamente all’interno del buco nero. Una dieta di gas più freddi, spiega Wang, permetterebbe al buco nero di accrescere a un ritmo molto più elevato, ma l’ambiente non lo consente.
di Nicola Nosengo (INAF)

Sagittarius A* e i suoi misteri

Sagittarius A* (pronunciato “Sagittarius A-star”, abbreviato in Sgr A*) è una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa, situata nel centro della Via Lattea, parte della grande struttura nota come Sagittarius A. Sgr A* sembrerebbe essere il punto in cui si trova un buco nero supermassiccio, componente caratteristico dei centri di molte galassie ellittiche e spirali. Sagittarius A* avrebbe una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole, e, trovandosi nel centro della nostra galassia, costituirebbe il corpo celeste attorno al quale tutte le stelle della Via Lattea, compresa la nostra, compiono il loro moto di rivoluzione.
Diversi gruppi di ricerca hanno ottenuto delle immagini di Sgr A* nella lunghezza d’onda delle onde radio utilizzando il Very Long Baseline Interferometry (VLBI); le immagini ottenute hanno rilevato un disco di accrescimento ed un getto relativistico che farebbe pensare ad un buco nero supermassiccio. Le misurazioni hanno una risoluzione di un diametro angolare pari a 37 microsecondo d’arco (con un errore stimato in +16 e -10). A 26.000 anni luce di distanza, equivale ad un diametro di 44 milioni di km. Come termine di paragone, la Terra si trova a 150 milioni di km dal Sole, mentre il pianeta Mercurio è a 46 milioni di km dal Sole nel punto più vicino dell’orbita. Pertanto, Sgr A* avrebbe un diametro equivalente alla metà di quello dell’orbita di Mercurio. Sgr A* ha una massa stimata in 4,1 milioni di masse solari; dato che questa massa è confinata entro una sfera del diametro di 44 milioni di km, possiede una densità dieci volte più alta di quanto stimato in precedenza. Questa densità pertanto escluderebbe l’ipotesi che si possa trattare di qualcosa di diverso da un buco nero, poiché con altre concentrazioni l’oggetto sarebbe collassato o evaporato su una scala di tempo inferiore a quella dell’età della Via Lattea. Conoscendo questi dati, solo delle elevate deviazioni del comportamento della stessa gravità rispetto a quanto predetto dalla relatività generale potrebbe invalidare l’ipotesi che si tratti di un buco nero. Tuttavia, ciò che si osserva non è il buco nero in senso stretto; l’energia radio e infrarossa osservata è emanata dal gas e dalle polveri riscaldate a milioni di kelvin mentre cade all’interno del buco nero. Lo stesso buco nero emette solo radiazione di Hawking a temperature trascurabili, dell’ordine di 10−14 kelvin.
Il 6 ottobre 2002, un gruppo di ricerca internazionale diretto da Rainer Schödel del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics pubblicò gli esiti dell’osservazione del moto della stella S2, posta nei pressi di Sgr A*, per un periodo di 10 anni, ottenendo delle evidenze che Sgr A* fosse un oggetto eccezionalmente compatto. Esaminando l’orbita di S2, determinarono che la massa di Sgr A* fosse compresa entro 2,6 ± 0,2 milioni di masse solari, confinata in un volume dal raggio non superiore alle 17 ore luce (120 UA). Osservazioni successive determinarono una massa di 3,7 milioni di masse solari in un volume dal raggio compreso entro 6,25 ore luce (45 AU), o 6,7 miliardi di km. Nel novembre 2004 un gruppo di astronomi annunciarono la scoperta di GCIRS 13E, primo buco nero di massa intermedia confermato della nostra Galassia, orbitante a 3 anni luce da Sgr A*; questo buco nero di 1.300 masse solari si trova all’interno di un ammasso di sette stelle. Queste osservazioni possono supportare la teoria secondo cui i buchi neri supermassicci crescono assorbendo materia dalle stelle vicine e dagli stessi buchi neri di massa inferiore.
Qualcosa di insolito fu rilevato già nel 2002, ma fu nel 2012 che fu annunciata la scoperta, pubblicata su Nature, di una nube di gas e polveri che si avvicina velocemente al buco nero. La nube è stata denominata G2 e ha una massa circa tre volte quella terrestre; dai calcoli della sua orbita è stato previsto che nella seconda metà del 2013 essa si avvicinerà a poco più di 3000 volte il raggio dell’orizzonte degli eventi del buco nero, equivalenti a circa 260 UA. Nonostante non sia in rotta di collisione, l’avvicinamento della nube al buco nero potrebbe provocare una grossa emissione di raggi X e anche un brillamento gigante nel punto di massimo avvicinamento, se, come si pensa, la nube dovesse frantumarsi per le forze di mareapresenti e della materia cadere nel pozzo gravitazionale del buco nero supermassiccio.
L’origine della nube è incerta; alcuni scienziati suggeriscono che potrebbe essere l’atmosfera esterna persa da una stella massiccia, oppure materia che si stava condensando in un pianeta, la cui formazione però non avvenne a causa dell’ambiente troppo caldo. L’evento avrà una durata totale inferiore a una decina d’anni, un tempo piuttosto breve su scala astronomica, e verrà osservato dai più grandi radiotelescopi da terra e dai telescopi spaziali in orbita, quali il Chandra, l’XMM, l’EVLA, l’INTEGRAL, lo Swift e il Fermi.Simulazioni al computer suggeriscono che la nube non sopravviverebbe all’incontro e che verrebbe disgregata in più parti, alcune della quali cadrebbero nel disco di accrescimento e verrebbero inghiottite dal buco nero, mentre ciò che resta cambierebbe forma e orbita attuale.
Fonte: Wikipedia

Sagittarius A*: buco nero pronto al pasto

L’osservatorio spaziale Herschel, missione congiunta ESA-NASA, ha effettuato molte osservazioni dettagliate di un gas sorprendentemente caldo che potrebbe orbitare intorno al buco nero supermassivo che risiede al centro della nostra Galassia.
Il buco nero sembra essere in una fase di spuntino di questo gas e proprio questa fase ci insegnerà molto riguardo la crescita dei buchi neri.
Il buco nero della nostra galassia si trova in una zona nota come Sagittarius A*, abbreviato SgrA*, che rappresenta una vicina fonte di onde radio. Ha una massa di circa 4 milioni di masse solari e si trova a circa 26 mila anni luce dal nostro sistema solare. Anche a questa distanza, è più vicino di centinaia di volte rispetto a tantissime altre galassie che posseggono un buco nero centrale, il che rende il nostro buco nero un laboratorio ideale per lo studio dell’ambiente circostante. Alla lunghezza d’onda di Herschel, gli scienziati possono osservare attraverso la polvere galattica e studiare le regioni interne, quelle più turbolente, con grande dettaglio. La sorpresa più grande è stata il gas caldo nella regione più interna della galassia. Si trova ad almeno 1000°C, ad una temperatura quindi molto più calda rispetto al tipico gas interstellare che solitamente si trova a poche decine di gradi sopra lo zero assoluto, pari a -273°C. Il team ha ipotizzato che le emissioni derivanti da shock in un gas molto magnetizzato potrebbero giocare un ruolo molto importante per l’innalzamento della temperatura. Questi shock possono essere generati da collisioni tra nubi di gas o tra materiali che fluiscono a grandi velocità. Attraverso le osservazioni nel vicino infrarosso altri astronomi hanno trovato e individuato una nube di gas separata, con massa pari a poche masse terrestri, che sta spiraleggiando verso il centro del buco nero. Si trova davvero molto vicina al buco nero rispetto a tutte le altre nubi e potrebbe finire nel buco nero sul finire di questo anno. Siamo quindi in attesa di un singhiozzo a raggi X che significherebbe osservare il pasto del buco nero.
NASA (Skylive)

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