Dione, un paesaggio di ghiaccio butterato da crateri

Ecco le attesissime immagini di Dione prese durante il flyby del 17 agosto. Martedì scorso vi avevamo proposto un assaggio di quelle “raw”, appena sfornate, non processate né validate. Nel frattempo, alla NASA hanno selezionato le più significative e hanno messo online, a tempo record, un album con gli scatti migliori, questa volta con tanto di bollino di qualità. Guardiamoli bene e teniamoceli cari. Un po’ perché mostrano la superficie di Dione con una risoluzione mai raggiunta prima, ma soprattutto perché – se anche non saranno le ultime fotografie prese da vicino di quel misterioso mondo – ci attende quanto meno un lungo digiuno.


«Ammirando queste immagini meravigliose della superficie e della falce di luna di Dione, e sapendo che sono le ultime che vedremo – di quel mondo lontano – per molto tempo a venire, sono commossa, come tutti del resto», dice Carolyn Porco, alla guida del team di imaging dello Space Science Institute a Boulder, in Colorado. «Cassini ci ha consegnato un’altra straordinaria serie di gioielli. Abbiamo avuto un’immensa fortuna».
Prossima tappa Encelado, che la sonda NASA incontrerà due volte in ottobre (il 14 e il 28) e una il 19 dicembre, compiendo passaggi rasoterra: meno di 50 km separeranno Cassini dalla luna durante il flyby del 28 ottobre.
Poi chissà. I mondi da esplorare, da quelle parti, non mancano. E per il 2017 Cassini ha in calendario alcuni brevi soggiorni attorno a piccole lune irregolari come Dafni, Telesto, Epimeteo ed Egeone. Infine, per chiudere in bellezza, una serie di tuffi fra Saturno e i suoi anelli. Foto: questo è il volto di Dione osservato da 537 km di distanza. L’immagine è la composizione di due diversi scatti: quello più ampio, effettuato con la WAC (la camera a grandangolo), ha una risoluzione di 32 metri per pixel. Il piccolo riquadro più definito, sovrapposto al centro dell’immagine sulla sinistra, è invece un particolare colto dalla NAC (la camera con il teleobiettivo). Il livello di dettaglio è senza rivali: appena 3 metri per pixel. Crediti: NASA / JPL-Caltech / Space Science Institute.
di Marco Malaspina (Media Inaf)

Vista panoramica dal cratere Endeavour

Dall’ alto di ‘Cape Tribulation’, un’area del bordo del cratere Endeavour, ecco questa spettacolare vista panoramica di Marte, inviata dal rover Opportunity della NASA, che da quasi undici anni ormai ‘scorrazza’ sulla superficie del Pianeta rosso. Proprio come facciamo qui sulla Terra con le fotocamere digitali o, più semplicemente, anche con uno smartphone, la foto a così ampio campo di vista (ben 245 gradi) è un collage di riprese più strette, poi montante insieme, tutte ottenute il 6 gennaio scorso dalla panoramic camera (Pancam) che equipaggia il robottino.

Panorama  di Marte ripreso  sul bordo del cratere Endeavour dalla Pancam del rover Curiosity. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Cornell Univ./Arizona State Univ.

Il punto da dove è stata presa questa vista d’insieme è il più alto raggiunto da Opportunity dopo aver lasciato la zona del cratere Victoria nel 2008 ed aver intrapreso un viaggio durato tre anni che lo ha portato fino al cratere Endeavour, una struttura dal diametro di ben 22 chilometri. L’immagine è stata trattata in modo che i suoi colori fossero il più possibile fedeli a quelli che potremmo osservare con i nostri occhi se ci trovassimo sul Pianeta rosso, ed è stata ottenuta combinando le riprese della Pancam scattate con tre differenti filtri: uno centrato attorno alla lunghezza d’onda di 753 nanometri (che cade nel vicino infrarosso),  uno attorno ai 535 nanometri (luce verde) e l’ultimo a 432 nanometri (violetto).
di Marco Galliani (INAF)

Ecco il Bonanza King, una formazione rocciosa nella Hidden Valley

Ecco una nuova foto della superficie marziana scattata dal rover della NASA Curiosity,  l’immagine questa volta è veramente speciale perché ci mostra quello che potrebbe essere  il quarto punto di perforazione della missione Mars Science Laboratory. Si tratta del “Bonanza King”, una formazione rocciosa nei pressi della Hidden Valley che si vede sullo sfondo della foto e che potrebbe far registrare un primato: nessuna precedente missione ha raccolto dei campioni dall’interno di rocce su Marte. Finora, infatti, i materiali estratti provenivano da zone arenarie della superficie del Pianeta Rosso. L’immagine è molto recente: è stata scattata, infatti, lo scorso 14 agosto (719esimo giorno marziano – sol) dalla Hazard Avoidance Camera (Hazcam) montata su Curiosity. Nell’immagine si può vedere che la più grande delle singole rocce piatte in primo piano misura alcuni centimetri di diametro. Il rover era già passato per la Hidden Valley, ma aveva avuto dei problemi all’aderenza alle ruote vista l’eccessiva presenza di sabbia sul suolo. Per questo motivo i tecnici avevano cambiato rotta, inviando Curiosity in una zona più a nord, il Zabriskie plateau. Adesso la squadra ha deciso che il punto giusto per la quarta perforazione è proprio la Hidden Valley. L’operazione partirà a giorni.
di Eleonora Ferroni (INAF)
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Curiosity fotografa il Monte Sharp

Il Monte Sharp è una delle cime più importanti al centro del cratere Gale sul pianeta Marte ed è stata fotografata dal rover Curiosity il 6 giugno scorso. Questa montagna sorge a 5,5 km sopra il letto di cratere e il rover della NASA ha catturato un nuovo splendido panorama letteralmente “al volo” delle dune sulla superficie marziana. Dopo aver effettuato la terza perforazione a Kimberly (KMS-9), una regione piena di affioramenti collinari rocciosi, l’intrepido rover si dirige a tutta velocità verso i pendii di rocce sedimentarie alla base del misterioso Monte Sharp, che è la sesta destinazione della missione della NASA all’interno del cratere. Il target della terza trivellazione è stata una lastra di pietra arenaria, chiamata Windjana, alla base di una collinetta, Monte Remarkable, a circa 4 chilometri a sud-ovest da Yellowknife Bay. Quello che sta cercando Curiosity sono gli indizi per comprendere meglio gli antichi ambienti abitabili del Pianeta rosso e per ricostruire i cambiamenti delle condizioni climatiche che ha attraversato Marte. I minerali custoditi dalle rocce potrebbero indicare i luoghi che hanno ospitato in passato forme di vita marziane microbiche, se mai fossero esistite. Marte era più umida, più calda e molto più ospitale miliardi di anni fa rispetto ad oggi.  Il robot di una 1 tonnellata sta guidando su un percorso verso il Murray Buttes, che si trova tra le dune sul lato destro del Monte Sharp. Curiosità ha ancora altri 4 chilometri da percorrere entro la fine dell’anno. Durante la fase di guida il rover non “sta con le mani in mano” e continua le sue attività scientifiche studiando il materiale marziano raccolto durante le trivellazioni. “Continuiamo ad analizzare i campioni di Kimberley con CheMin e SAM”, ha scritto un membro del team John Bridges. Ad oggi il contachilometri di Curiosity segna un totale di 6,1 km percorsi da quando è atterrato all’interno Gale cratere ad agosto 2012. In questi anni ha scattato oltre 154.000 immagini.
di Eleonora Ferroni (INAF)
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Le lune nel cielo di Marte

Non importa se poeti, studiosi, innamorati, navigatori o semplici amanti del cielo. Lo facciamo tutti. Siamo tutti abituati ad alzare lo sguardo sul cielo notturno in cerca del disco pallido e familiare della nostra sorella Luna. E come noi tutti, lo faranno sicuramente anche i primi uomini che nei prossimi decenni poseranno il piede sul suolo di Marte, magari in cerca di conforto o di ispirazione. Il cielo che si aprirà sopra le loro teste sarà uno spettacolo contemporaneamente familiare e alieno, in cui una coppia di Lune bitorzolute sorge e tramonta ogni notte, in un balletto complesso e difficile da immaginare. Per avere un’idea di questo spettacolo, ci viene in aiuto il prezioso rover Curiosity, che quando non è intento a percorrere chilometri, scavare rocce, misurare o effettuare test, si concede dei rari momenti di riposo, osservando e fotografando lo spettacolo naturale sopra la sua testa (meccanica).
Il filmato che si trova sul sito INAF, ultimo esempio di questi fruttuosi momenti di riposo, è un montaggio di quello che ha visto la Mastcam del rover guardando verso l’alto, nella notte del 1 agosto, 351esimo giorno di missione, inquadrando il balletto delle due lune marziane che sorgono e corrono lungo i loro percorsi a velocità diverse. Il filmato è stato realizzato rimontando a velocità accelerata, in una sequenza di pochi secondi, le 41 immagini raccolte in circa un minuto di riprese della luna Phobos, la più grande, che raggiunge e occulta la piccola Deimos.
Le immagini ad alta risoluzione danno un’idea di come la bitorzoluta Phobos apparirebbe, con il dettaglio dei suoi crateri, a un osservatore abituato a scrutare nel cielo terrestre la nostra Luna. Avendo un’orbita molto ravvicinata al pianeta Marte, Phobos ha una grandezza apparente in cielo di appena la metà del disco lunare, malgrado abbia un diametro di appena un centesimo del nostro satellite naturale. E se l’opportunità di ritrarre contemporaneamente le due lune di Marte in una stessa inquadratura è cosa rara (si contano solo due casi precedenti, catturati da Mars Express nel 2009 e da Sipirt nel 2005 ), ben più usuale può considerarsi lo spettacolo ripreso dallo stesso Curiosity il 28 giugno scorso, 317esimo giorno di missione (filmato in basso sempre sul sito INAF). In questa occasione, il rover si è limitato a puntare la sua camera di navigazione verso l’alto appena dopo il tramonto del Sole e a riprendere per circa mezz’ora il sorgere della luna Phobos nel cielo marziano. Malgrado la poca nitidezza e l’inquadratura lontana, le 86 immagini scattate hanno permesso alla NASA di realizzare questo filmato accelerato che mostra, per la prima volta, quello che nei prossimi anni diventerà uno spettacolo familiare: il sorgere di una luna su un altro pianeta.
di Livia Giacomini (INAF)
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Le maree al contrario di Encelado

Immaginate se invece di limitarsi a sollevare il livello degli oceani, scandire il calendario agricolo e, a volte, confondere gli animi, le maree potessero generare dal nulla enormi geyser più alti delle più alte montagne e modificare la superficie del pianeta, creando e cancellando enormi canyon ad ogni orbita. È quanto accade su Encelado, luna di Saturno. Una specie di versione amplificata e invertita delle maree terrestri, dove questa volta è la luna a risentire eccezionalmente ma periodicamente dell’attrazione gravitazionale del pianeta intorno al quale ruota. Il fenomeno è evidenziato da questo montaggio della missione Cassini-Huygens e recentemente pubblicato. L’immagine di Saturno di background è stata ottenuta dall’Imaging science subsystem di Cassini nel 2006. Su questo sfondo è stata sovraimposta l’orbita non circolare di Encelado (in bianco), che porta la luna a una distanza variabile dal pianeta. I due box sovraimposti mostrano l’aspetto di Encelado in due momenti clou di questa orbita, quando raggiunge una distanza massima e minima da Saturno. Le due immagini, raccolte pazientemente il 1 ottobre 2011 e il 30 gennaio 2011 dallo strumento VIMS, lo spettrometro a immagine a partecipazione italiana, mostrano chiaramente come gli incredibili geyser di Encelado siano al massimo della loro attività quando la luna si trova a distanza massima dal pianeta (box a sinistra) e come diventino quasi impercettibili a distanza minima (box a destra). La spiegazione scientifica è abbastanza intuitiva. I geyser di Encelado sono generati da cristalli di ghiaccio misti a particelle organiche che vengono espulsi in modo violento dalle “tiger stripes”, i graffi di tigre che come enormi tagli ne solcano la superficie. Quando Encelado si trova a distanza minima da Saturno, la forze gravitazionali del pianeta tendono ad attrarre maggiormente la crosta della luna, facendo chiudere queste fessure e diminuendo la quantità di materia espulsa. All’allontanarsi della luna, la portata delle emissioni tende di nuovo ad aumentare, raggiungendo un picco di luminosità di 3 o 4 volte superiore al minimo.  Rendendo i misteriosi e imprevedibili geyser di Encelado simili a un fenomeno di “marea al contrario”.
di Livia Giacomini (INAF)
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Alle falde del Monte Olimpo

Con i suoi 22 chilometri di altezza rispetto alle pianure circostanti è il vulcano più alto del Sistema solare, facendo impallidire perfino il Mauna Kea, che si ferma ‘solo’ a 10 chilometri, misurati dal fondo dell’oceano fino alla sua sommità. Per trovare questo gigante però, non cercatelo sulla Terra ma su Marte. L’ultima splendida immagini del Monte Olimpo, un dettaglio delle sue pendici, ci arriva dalla sonda Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea. La ripresa è stata ottenuta lo scorso 21 gennaio e mostra una delle caratteristiche più peculiari di questo vulcano, ovvero la presenza lungo tutta la sua base di una profonda scarpata che in alcuni punti raggiunge salti di ben 9 chilometri. La scarpata si è probabilmente formata durante un certo numero di catastrofiche frane avvenute sui fianchi del vulcano, durante il quale i detriti sono scivolati a diverse centinaia di chilometri di distanza, ben oltre il l’area compresa in queste immagini, dove sono ancora ben visibili le tracce di flussi di lava che si sono susseguiti alla base del vulcano e, qua e là, alcuni blocchi spigolosi o più levigati che sono stati spostati o portati in superficie a seguito dei crolli. Prova ulteriore di una passata attività vulcanica molto attiva: in quelle epoche la lava, fuoriuscita dai bordi della caldera del vulcano, si è sparsa a ventaglio su una vasta area della sua base, fino a raggiungere la pianura sottostante.
di Marco Galliani (INAF)
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Meravigliosa Luna, splendido Sole

Abbiamo ancora negli occhi la Super Luna, lo straordinario spettacolo celeste causato dalla coincidenza della fase di Luna piena con il raggiungimento del perigeo (il punto dell’orbita lunare più vicino alla Terra).  Quale occasione migliore per tirar fuori dal cassetto della NASA una insolita immagine astronomica che mette insieme gli scorci montuosi del nostro satellite con i panorami infuocati del Sole. A parte la bellezza, un’immagine dal valore scientifico non trascurabile: parliamo di una inquadratura che non potrebbe mai essere realizzata da un singolo occhio -o strumento spaziale-, per quanto potente e puntato nella giusta direzione.  Perché per mettere insieme questa, che sembra solo una insolita curiosità astronomica, è stato indispensabile combinare i dati di ben due tra le principali missioni spaziali della NASA attualmente operative.
L’immagine ha come soggetto il transito della Luna davanti al disco del Sole fotografato dal Solar Dynamics Observatory il 7 ottobre 2010. Un fenomeno in realtà non così raro, ripreso da SDO 2 o 3 volte l’anno. Ovviamente, nelle immagini originali realizzate in queste situazioni (vedi qui a sinistra) sono sempre invisibili i dettagli della superficie lunare, il cui disco compare come un buco scuro nella luminosità del Sole, nero come la pece. Esattamente come il volto privo di dettagli di una persona in una fotografia scattata in pieno controluce. Per realizzare l’immagine finale, era quindi necessario in qualche modo sovrapporre allo scatto originale una seconda immagine, con i rilievi illuminati della Luna.
Ovviamente l’operazione è più complessa di quello che può sembrare a prima vista: come ricavare una fotografia del disco lunare come avrebbe potuto essere visto in quell’esatto momento e da quella precisa posizione, se diversamente illuminato? La soluzione l’ha fornita il dettagliatissimo modello digitale 3D del nostro satellite realizzato con i dati del NASA’s Lunar Reconnaissance Orbiter. Un modello ricavato dalle misure raccolte negli anni di missione, così preciso da poter essere usato per riprodurre una immagine virtuale del disco lunare, ripresa da qualsiasi punto di vista (leggi questo articolo media INAF). Per assicurarsi che l’immagine coincidesse esattamente con l’ombra scura che si stagliava sul disco solare fotografata da SDO, è stato necessario osservare con estrema precisione il bordo del disco nero per riconoscere i rilievi topografici del nostro satellite e avere così un numero sufficiente di punti di riferimento (vedi immagine qui sotto).
Un lavoro di grande precisione, svolto dai team di due missioni, che ha permesso la produzione di una singola immagine, meravigliosa nella sua semplicità, ma che in realtà combina il meglio di due mondi.
di Livia Giacomini (INAF)
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Il Signore degli Anelli si mostra in tutto il suo splendore

In attesa di Occhi Su Saturno, la manifestazione che il 18 maggio prossimo metterà il Signore degli Anelli al centro di una celebrazione collettiva e diffusa sul territorio italiano, Saturno sfrutta le telecamere della missione Cassini-Huygens per mettersi in mostra.
L’immagine, in tutto il suo splendore, è stata realizzata il 5 marzo 2013 dalla Wide-angle Camera a bordo della missione NASA-ESA-ASI mentre la sonda si trovava a 1.434 milioni di chilometri dal pianeta, quindi con una risoluzione di 82 chilometri per pixel.
In quel momento, la configurazione tra il Sole, la sonda e il pianeta aveva un angolo di fase di 85 gradi. Quindi Cassini si trovava nella condizione migliore per poter fotografare il pianeta con il magnifico sistema di anelli visto di piatto, illuminato lateralmente dalla luce del Sole. L’immagine è stata realizzata nella luce visibile ed è molto simile a quello che occhi umani avrebbero potuto vedere da questo punto di osservazione molto privilegiato.
Sulla superficie variegata degli anelli, in primo piano, l’ombra scurissima e netta gettata dal pianeta Saturno. Il fatto che nello spazio le ombre siano così nette dipende dalla mancanza di atmosfera a diffondere la luce. Lo stesso meccanismo alla base delle immagini molto contrastate degli astronauti sulla Luna, che proiettavano sulla superficie del nostro satellite ombre molto più nette di quanto non avrebbero fatto sulla terra.
Dall’ingresso in orbita intorno al pianeta, il sistema di anelli è uno degli argomenti più studiati dalla missione Cassini-Huygens, e quella di oggi è solo una delle ultime immagini in ordine di tempo, che vede come protagonista questa caratteristica del pianeta. Per ritracciare una breve carrellata delle ultime apparizioni, ricordiamo i recenti impatti di meteoroidi immortalati nei mesi scorsi o il raro ritratto del pianeta Venere che fa capolino tra gli anelli.
di Livia Giacomini (INAF)
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Le cicatrici ghiacciate di Encelado

È un fitto intrico di crinali e depressioni ghiacciate quello che ci appare la superficie di Encelado, la più enigmatica tra le lune di Saturno. Questo panorama mozzafiato, ripreso dalla sonda Cassini il 31 gennaio del 2011,  è il risultato della tremenda forza di attrazione gravitazionale esercitata da Saturno che deforma il guscio esterno della luna, modellandolo in ripidi promontori che si stagliano al di sopra di profonde fratture. La netta cicatrice scura che si vede sulla superficie di Encelado nella zona meridionale raggiunge in vari punti profondità anche di un chilometro e nel suo percorso taglia altre strutture morfologiche. Un indizio della sua relativa giovinezza. In contrasto, la regione butterata di crateri a nord viene interpretata come una superficie molto più antica che sinora sembrerebbe sfuggita al processo di rimodellamento visibile nelle zone circostanti. Ma l’immagine di Encelado ci mostra quella che è la sua caratteristica più spettacolare: lungo parte del bordo meridionale, pennacchi di particelle ghiacciate mescolate a vapor d’acqua, sali e materiali organici vengono letteralmente sparati nello spazio a velocità superiori a 2000 chilometri all’ora. La composizione chimica di questi pennacchi suggerisce che sotto la crosta ghiacciata di Encelado potrebbe celarsi un oceano liquido in grado addirittura di ospitare forme elementari di vita.
di Marco Galliani (INAF)
30 – continua

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