Da nane bianche a supernove

L’osservazione di due nuove supernove migliora il “metro astronomico” che gli scienziati utilizzano per calcolare l’accelerazione dell’espansione dell’universo.
Nelle settimane scorse, la luce di due stelle esplose centinaia di milioni di anni fa ha raggiunto la Terra, e in entrambi i casi l’evento è stato identificato come una supernova.
La prima, scoperta il 6 febbraio è esplosa circa 450 milioni di anni fa, ha spiegato Ferrante Farley, uno studente laureato alla Southern Methodist University, Dallas, che ha fatto l’osservazione iniziale. La stella è esplosa in una porzione relativamente vuota del cielo, in una galassia  identificata come 2286144.
Un’altra supernova era stata scoperta il 20 novembre ed è esplosa circa 230 milioni di anni fa in una delle molte galassie della costellazione della Vergine.
Entrambe le supernove sono state avvistate con ROTSE3b il telescopio robotico della Robotic Optical Search Transient Experiment. ROTSE3b è ubicato presso l’Osservatorio McDonald nelle montagne di Davis del West Texas vicino a Fort Davis.
La supernova che è esplosa circa 450 milioni di anni fa è stata ufficialmente designata Supernova  2013X, soprannominata “Everest” da Govinda Dhungana, un laureando della SMU che ha partecipato alla scoperta.
La supernova esplosa circa 230 milioni di anni fa è stata ufficialmente designata Supernova 2012ha. La luce creata dalla sua esplosione ha viaggiato verso la Terra sin dal periodo Triassico, quando i dinosauri vagavano sul pianeta. Dhungana ha dato il soprannome di “Sherpa” per la Supernova 2012ha.
“Everest e Sherpa non sono degne di nota per essere le supernove più giovani, più antiche, più vicine, più lontane o più grandi mai osservate,” ha detto Ferrante. “Ma entrambe sono importanti perché ci forniscono informazioni per fare ulteriori ricerche”.
Everest e Sherpa sono il risultato di esplosioni di nane bianche, ha affermato Robert Kehoe, professore di fisica e leader del team di astronomia SMU presso il Dipartimento di Fisica SMU. Una nana bianca è una stella morente, che ha bruciato tutta la sua energia. La nana bianca cresce circa una volta e mezzo la dimensione del sole e incapace di sostenere il suo peso si avvia verso un rapido il collasso che porta all’esplosione. Il risultato è una supernova di tipo 1A.
“Noi chiamiamo queste supernove di tipo 1A candele standard”, ha detto Ferrante. “Dal momento che le supernove di tipo 1A hanno origine da questo processo standard, la loro luminosità intrinseca è molto simile. Così esse diventano un dispositivo che gli scienziati usano per misurare la distanza cosmica”. Più appaio brillanti, più sono vicine a noi.
Come altre supernove di Tipo 1A, Everest e Sherpa forniscono agli scienziati un piccolo pezzo al puzzle di uno dei più grandi misteri dell’universo ovvero che cos’è l’energia oscura. Ogni supernova di Tipo 1A fornisce agli astronomi informazioni indirette sull’energia oscura, che costituisce il 73 per cento della massa-energia dell’universo.
“Ogni stella che esplode permette agli astronomi di calibrare con maggior precisione la velocità crescente con cui il nostro universo è in espansione e quindi ci aiuta a comprendere meglio l’energia oscura”, ha detto Ferrante.
di Antonio Marro (INAF)

Arrivano la Vergine ed il Leone in attesa della Panstarrs

Il mese di marzo vede ancora come protagoniste le costellazioni invernali. Tuttavia, rispetto al mese precedente, si noterà uno spostamento delle stesse verso sud-ovest. Da notare invece che, già dalle prime ore della notte, si affacciano ad oriente le costellazioni del Leone e della Vergine (nei pressi della quale troviamo Saturno). I fortunati abitanti di luoghi con poco inquinamento luminoso, potranno scorgere persino la debole costellazione del Cancro, che separa il Leone dai Gemelli.
Proseguendo verso occidente spicca ancora la stupenda Orione, con le tre stelle della cintura a formare una linea quasi retta (da sinistra: AlnitakAlnilam Mintaka), ed i 3 luminosissimi astri Betelgeuse (gigante rossa), Rigel (azzurra) e Bellatrix (in alto a destra). Sotto la cintura troviamo un gruppo di stelle in cui giace la Grande nebulosa di Orione (M42) osservabile anche ad occhio nudo. Una perla del cielo boreale.
Nella stessa zona di cielo troviamo le costellazioni del Toro (dalla caratteristica forma a Y) con la stella rossa Aldebaran, la costellazione dell’Auriga con la brillante stella Capella, i Gemelli con le stelle principali Castore e Polluce. A sinistra in basso rispetto ad Orione, nella costellazione del Cane Maggiore, risplende Sirio, la stella più luminosa del cielo. Poco al di sotto dei Gemelli, si può facilmente riconoscere un’altra stella luminosa, Procione, del Cane Minore.
Proseguiamo il nostro tour con il cielo settentrionale, dove l’Orsa Maggiore domina incontrastata. Con il suo aiuto sarà un gioco da ragazzi trovare la stella polare. A Nord-Ovest troviamo Cassiopea con la sua caratterisitica forma a “W”; tra Cassiopea e il Toro troviamo la costellazione del Perseo. Da notare che anche la costellazione del Perseo può fungere da comodo riferimento per giungere alle Pleiadi, infatti basta congiungere con una linea immaginaria a forma di “arco” alcune stelle per arrivare al famosissimo ammasso aperto.
Chiudiamo la rassegna segnalando la costellazione di Bootes (il Bifolco), sotto l’Orsa Maggiore e a sinistra della Vergine, caratterizzata dalla particolare forma ad aquilone, con la sua brillante e rossastra Arturo.
Il mese di marzo favorisce l’osservazione della tanto attesa cometa C/2011 L4 PanSTARRS!  Le ultime analisi stimano una luminosità molto ridotta rispetto a quanto si auspicava.
Non demordiamo però! Ricordiamo il famoso outburstdel 2007 della cometa 17/P Holmes oppure quello dell’anno prima della cometa McNaughts, che è divenuta visibile ad occhio nudo anche di giorno!
Dal 5 marzo la cometa tramonterà appena dopo il Sole ma le condizioni osservative saranno talmente critiche che dovrebbe essere luminosissima per farsi notare tra l’intensa luminosità.
Il 10 marzo, giorno del perielio, (cometa a 45 milioni di km. dal Sole e 165 milioni di km. dalla Terra) sarà alta una decina di gradi sull’orizzonte al momento del tramonto del Sole e brillerà al massimo delle sue potenzialità.
Che valore raggiungerà? Le ultime osservazioni fanno pensare a una magnitudinenon oltre la +3. Fosse così difficilmente risulterebbe visibile.
Nei giorni immediatamente seguenti la luminosità dovrebbe mantenersi sui valori massimi e le condizioni osservative migliorare leggermente.
Il 12 e il 13 marzo un sottilissimo falcetto lunare nelle vicinanze potrebbe aiutarci nel rintracciarla. Arrivati a metà mese – ammesso che la PanSTARRS si dimostrasse una cometa “normale” – si entra nel periodo più favorevole per l’avvistamento.
Astronomia.com

Un oceano di magma per Mercurio

Il roccioso e arido Mercurio. Così appare oggi il pianeta più vicino al Sole del nostro sistema planetario. Sotto osservazione ora della sonda della NASA Messenger e, tra qualche anno, della sonda europea Bepi Colombo, il piccolo pianeta potrebbe ave avuto un passato decisamente meno arido, anche se sempre molto caldo.
Infatti, la sonda della NASA ha evidenziato due tipologie di rocce che compongono la crosta del pianeta e, almeno fino a questo momento, gli scienziati non sono stati in grado di spiegare.
Esperimenti di laboratorio e simulazioni condotti al Massachusets Institute of Technology (MIT) sembrano ora fornire una spiegazione, che risale a molti anni fa, quattro miliardi e mezzo di anni addietro, alla fase iniziale di formazione del nostro sistema solare. In quell’epoca probabilmente Mercurio è coperto da un oceano di magma rovente.
“Lo straordinario è che questo non è accaduto ieri”, spiega Timothy Grove, professore di geologia al MIT. “La crosta risale a più di quattro miliardi di anni, quindi quest’oceano di magma è una caratteristica molto antica”. La sonda Messenger ha identificato i due tipi di roccia grazie al suo spettrometro a raggi X, che è stato in grado di distinguerne la composizione chimica. Gli scienziati hanno riprodotto il più fedelmente possibile queste due tipologie di roccia in laboratorio, per poi sottoporle a temperature e pressioni che potrebbero aver caratterizzato Mercurio nella sua fase evolutiva. Questo esperimento ha portato alla conclusione che vi sia una sola origine comune per i due tipi di roccia. L’oceano di magma avrebbe, infatti, creato due cristalli, solidificatesi e poi, una volta rifusi, distribuiti sulla superficie del pianeta Mercurio attraverso le eruzioni vulcaniche. I ricercatori ammettono che vi sono ancora alcune lacune e che i successivi approfondimenti permetteranno di avere risultati più completi, ma che comunque siamo di fronte ad un quadro di riferimento su cui aggiungere nuovi dati, utile a mettere insieme una storia più completa per il più piccolo pianeta del sistema solare. I risultati di questo lavoro sono stati descritti sul numero del primo febbraio della rivista Earth and Planetary Science Letters.
di Francesco Rea (INAF)

Inizia la parata delle comete

Potrebbe sembrare una campagna pubblicitaria ben orchestrata. In realtà, il fatto che il 2013 si sia rivelato l’anno delle comete e che contemporaneamente la missione Rosetta si prepari a riaccendere i suoi strumenti e ad atterrare su un nucleo cometario è solo una bella coincidenza. Una di quelle coincidenze che allietano la vita degli studiosi e degli amanti dell’astronomia.
Sono tre, le protagoniste del 2013 dotate di coda d’ordinanza,  e tutte probabilmente visibili a occhio nudo anche dai nostri cieli. La prima delle tre è prevista per metà Marzo, si chiama Pan-STARRS, anche detta Cometa di Pasqua e come mostra l’immagine di oggi, ha già iniziato a farsi fotografare e a collezionare fans tra gli astronomi e astrofili dell’emisfero australe. La cometa Pan-STARRS, che fa bella mostra di sè in questa fotografia realizzata il 16 febbraio da Ignacio Diaz Bobillo, in Argentina, è la grande novità del cielo australe di questi giorni. Come dimostra questa galleria online delle ultime immagini di comete, in queste settimane Pan-STARRS  ha iniziato ad essere seguita e fotografata. Le osservazioni culmineranno intorno al 10 marzo, quando la cometa passerà a una distanza minima dalla Terra di circa 45 milioni di km. In realtà è difficile calcolare con precisione il giorno esatto in cui la cometa diventerà visibile dalle nostre parti e la sua luminosità massima. Le previsioni sono ammantate da un alone di incertezza, come sempre accade per le comete, oggetti astronomici capaci di apparire all’improvviso e smentire i calcoli anche su tempi scala molto brevi. A peggiorare la situazione,  il fatto che questa cometa non sia stata già osservata in una visita precedente al Sistema Solare.  Pan-STARRS è infatti una cometa di lunghissimo periodo (anche definita come aperiodica), che compie la sua orbita intorno al sole in circa 110.000 anni. Per questi motivi, al momento gli astronomi possono solo stimare quando e quanto diventerà luminosa nei nostri cieli. E se attualmente è visibile con un semplice binocolo per gli astrofili australiani, molti sono pronti a scommettere che a metà marzo diventerà ben visibile anche ad occhio nudo dai cieli italiani (vedi questo link per la sezione dedicata alle comete della UAI Unione Astrofili Italiani). Come indica il suo nome, Pan-STARRS o meglio C/2011 L4 Pan-STARRS è stata scoperta il 6 giugno 2011 dal telescopio Panoramic Survey Telescope & Rapid Response System presso le Hawaii. Al momento della sua scoperta, si trovava a circa 1,2 miliardi di km dalla Terra e le prime osservazioni hanno consentito di calcolare un’orbita preliminare, poi migliorata nei mesi successivi. Pan-STARRS proviene dalla Nube di Oort, la nuvola sferica composta di corpi ghiacciati pronti a trasformarsi in comete che avvolge il sistema solare alla incredibile distanza dal Sole di 100.000 UA, o Unita Astronomiche, cioè 100.000 volte la distanza tra Sole e Terra, ben oltre l’orbita di Nettuno, l’ultimo pianeta, situato a circa 30 UA. Pan-STARRS ha un’orbita inclinata di circa 84°, tagliando il piano del sistema solare, altra carattrtistica tipica per le comete non periodiche. Ma Pan-STARRS è solo la prima della parata di comete prevista per il 2013. La seconda in ordine cronologico è la verde Lemmon, già presentata in queste pagine e che promette a fine marzo di diventare ben visibile anche nei nostri. Con la sua lunga coda, inconfondibile per il colore verdastro dovuto ai gas che stanno evaporando dal nucleo, Lemmon è già stata abbondantemente fotografata nell’emisfero australe e vince tra le tre (per ora) la fascia di più bella. Infine, la terza protagonista del 2013 è la già famosa cometa ISON, la cui scoperta era stata annunciata a Settembre in queste pagine, e che chiuderà probabilmente l’anno diventando la cometa di Natale del 2013. ISON, come le sue colleghe, promette grandi cose: transitando molto vicino al Sole, sarà incredibilmente luminosa, probabilmente uguagliando la Luna e rimanendo visibile anche di giorno.
di Livia Giacomini (INAF)

Quanta acqua intorno a DG Tau!

Immaginate quanta possa essere l’acqua contenuta in tutti i mari e gli oceani della Terra. Eppure, nonostante possa sembrarci un valore smisurato, nel cosmo di acqua ce n’è in quantità enormemente maggiori. L’ultimo, gigantesco ‘serbatoio’ di questo composto chimico che è fondamentale per la Vita, almeno quella che si è sviluppata sul nostro Pianeta, è stato scoperto sotto forma di vapore e ghiaccio attorno a DG Tau, una giovane stella situata in direzione della costellazione del Toro e distante da noi circa 450 anni luce. E lì ce ne sarebbe addirittura qualcosa come migliaia di volte quella dei nostri oceani. La scoperta è stata realizzata da un gruppo internazionale di ricercatori, guidato da Linda Podio dell’Università di Grenoble e associata INAF, a cui partecipano Claudio Codella dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri e Brunella Nisini dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, sfruttando le osservazioni condotte dal telescopio spaziale Herschel dell’ESA.
DG Tau ha pochi milioni di anni, ma tra alcuni miliardi di anni potrebbe diventare come il Sole e dal suo disco circumstellare si potrebbero formare pianeti, asteroidi e comete, in analogia al nostro Sistema solare. La ‘caccia all’acqua’ in questo ed altri sistemi simili diventa assai importante perché la presenza di questo composto può essere un indizio di condizioni favorevoli all’insorgenza della vita. Gli scienziati ritengono che la maggior parte dell’acqua in queste strutture si trovi nelle regioni più esterne del disco, dove le temperature sono molto basse, ben al di sotto di -100 gradi centigradi. “In queste condizioni, l’acqua si congela sulla superficie dei grani di polvere del disco, ricoprendoli con spessi mantelli di ghiaccio e rendendola così ‘invisibile’ alle osservazioni” spiega Linda Podio. “Tuttavia la radiazione molto energetica emessa dalla stella illumina e riscalda gli strati più superficiali del disco, così che i mantelli di ghiaccio sui grani di polvere possono sciogliersi rilasciando parte dell’acqua in fase gassosa”. Una volta in forma di vapore, le principali righe di emissione di questa molecola sono visibili a lunghezze d’onda del lontano infrarosso, non osservabili da Terra a causa dell’assorbimento atmosferico ma accessibili agli strumenti a bordo del satellite Herschel.
Così, anche il disco protoplanetario di DG Tau è stato passato al setaccio dallo spettrometro HIFI (Heterodyne Instrument for the Far-Infrared) di Herschel e l’analisi dei risultati è stata inequivocabile. “Ora possiamo dire con certezza che i nostri sospetti erano giusti. Siamo riusciti infatti ad osservare il vapor d’acqua nel disco di DG Tau – continua Linda Podio. L’analisi dei dati ci ha permesso di ricavare da quale regione del disco l’acqua viene emessa e derivarne l’abbondanza: la quantità di vapor d’acqua osservato equivale a centinaia o migliaia di oceani terrestri”.  I ricercatori sono riusciti anche a localizzare la posizione di questo enorme serbatoio, che si trova in una fascia compresa tra 10 e 100 Unità Astronomiche dalla stella (una Unità Astronomica equivale alla distanza Terra-Sole). Inoltre, poiché l’acqua in forma di vapore è solo una piccola parte del totale, se ne deduce che la quantità d’acqua intrappolata nei mantelli dei grani di polvere sotto forma di ghiaccio è assai maggiore.
“Questa scoperta ha delle implicazioni fondamentali per gli astronomi e i geologi che studiano l’origine del nostro Sistema solare, e in particolare l’origine dell’acqua sulla Terra” commenta Linda Podio. “Infatti l’ipotesi più accreditata è che il nostro pianeta fosse completamente ‘asciutto’ al momento della sua formazione e che l’acqua vi sia giunta circa 4 miliardi di anni fa, grazie ad asteroidi e comete che si sarebbero formati nelle regioni esterne del nostro disco per poi schiantarsi sulla Terra durante la fase che prende il nome di ‘intenso bombardamento tardivo’. La quantità di acqua che abbiamo osservato nel disco di DG Tau, una stella simile al nostro Sole, supporta decisamente questo scenario”.
di Marco Galliani (INAF)

Bolide sulla Russia: asteroide di 7000 t, potenza 300 kiloton

Dopo la comprensibile confusione iniziale, arrivano i primi dati attendibili sul bolide esploso il 15 febbraio alle 4,20 ora italiana sulla zona industriale della città russa di Cheliabinsk, un milione di abitanti, a est degli Urali, non lontano dal confine con il Kazakistan. Peter Brown della University of Western Ontario insieme con esperti della NASA ha fatto una analisi preliminare del fenomeno. Secondo Bill Cooke, responsabile del Meteoroid Environment Office, un servizio dell’ente spaziale americano, si è trattato di un piccolo asteroide esploso nell’atmosfera dopo averla attraversata sotto forma di un luminosissimo bolide. “L’asteroide aveva verosimilmente 15 metri di diametro e pesava circa 7000 tonnellate. E’ entrato nell’atmosfera terrestre con una velocità di 18 km/s ed è esploso 20-25 km sopra la superficie terrestre. L’energia sprigionata dall’esplosione è stata dell’ordine dei 300 kiloton di TNT”. Sono stati individuati tre siti di impatto di frammenti di notevoli dimensioni. Uno di questi ha aperto un foro rotondo dal diametro di 6 metri nel ghiaccio che ricopre il lago di Chebarkul. A Cheliabinsk, città  fino al 1992 chiusa agli stranieri perché sede di impianti militari, sono andati in frantumi 200 mila metri quadrati di vetri delle finestre. Le schegge hanno ferito lievemente 1200 persone ed è crollata una fabbrica dove si lavora lo zinco. L’energia di 300 kiloton  è 24 volte quella della bomba nucleare esplosa a Hiroshima il 6 agosto 1945, la cui energia fu pari a 12,5 kiloton (1 kiloton = mille tonnellate di tritolo). L’evento di Tunguska è stimato in 20 megaton. Fu quindi energeticamente circa 60 volte maggiore.
Astro news a cura di Piero Bianucci

Uno strato freddo su Alpha Centauri A

L’osservatorio orbitante made in Europe Herschel, dell’Agenzia Spaziale Europea, ha scoperto uno strato più freddo nell’atmosfera della stella Alpha Centauri A, una stella molto simile al nostro Sole. La  scoperta può aiutare i ricercatori che studiano il Sole e capirne di più sulla nostra stella, ma anche a scoprire, in futuro, nuovi sistemi planetari simili al nostro. Le vicine di casa del Sole sono le stelle appartenenti al sistema stellare Alpha Centauri: Proxima Centauri, è la più “vicina”, dista 4,24 anni luce dalla Terra. Nelle vicinanze c’è il sistema binario formato da Alpha Centauri A e B, lontane 4,37 anni luce. Proprio lo scorso ottobre gli astronomi hanno scoperto un esopianeta ad appena 4,3 anni luce da noi, un pianeta delle dimensioni prossime a quelle della Terra che ruota intorno ad Alpha Centauri B. Ma Alpha Centauri A è altrettanto interessante per gli studiosi, in quanto assomiglia molto al nostro Sole per massa, temperatura, composizione chimica ed età: studiare questa stella è come leggere la carta d’identità del Sole. L’alternanza di temperature negli strati più esterni del Sole incuriosisce da tempo gli astrofisici: la corona solare arriva alla temperatura di milioni di gradi, mentre la temperatura della superficie è di soli 6000° centigradi. Ancor più strana è la presenza tra i due strati di un terzo, chiamato cromosfera, la cui zona inferiore ha temperature molto più basse, di -4000° centigradi. Durante le eclissi solari totali, questi due strati dell’atmosfera solare diventano ben visibili. La cromosfera appare rosa, mentre i fiumi di plasma della corona hanno un colore biancastro. La spiegazione è da cercare probabilmente nell’azione delle linee del campo magnetico, che provocano le famose tempeste solari, molto spesso indirizzare verso la Terra. Osservando Alpha Centauri A con le strumentazioni a infrarosso di Herschel e confrontando i risultati con modelli computerizzati delle atmosfere stellari, gli scienziati hanno individuato per la prima volta un simile strato “freddo” nell’atmosfera di un’altra stella. Ma perché le temperature nella cromosfera si abbassano così drasticamente? «Lo studio di queste strutture si è limitato al Sole finora, ma abbiamo chiaramente osservato fenomeni simili attorno ad Alpha Centauri A», spiega René Liseau dell’Onsala Space Observatory, in Svezia. «Delle osservazioni più dettagliate di altre stelle potrebbe aiutarci a decifrare l’origine di questi strati e l’intero puzzle delle escursioni termiche atmosferiche».
di Eleonora Ferroni (INAF)

Un muro davanti a Betelgeuse

Betelgeuse è una delle stelle meglio visibili ad occhio nudo e inoltre rappresenta un oggetto molto prossimo alla  definitiva trasformazione in supernova. Essa ha un diametro pari a 1000 volte quello del Sole e brilla 100 000 volte di più. Gli archi che si allontanano da lei sono segni della sua fine imminente e rappresentano materia che è già stata espulsa durante la fase di supergigante rossa.
In particolare ciò che ha visto recentemente Herschel sono gli effetti del vento stellare che impatta contro il mezzo interstellare ad una velocità di circa 30 km/sec. Queste onde d’urto si vedono soprattutto davanti alla stella nella direzione del suo moto spaziale. Attorno alla stella si nota anche un inviluppo di materia di forma asimmetrica. Certe caratteristiche possono essere viste solo nel lontano infrarosso.
Ciò che però nessuno si aspettava è quella specie di linea verticale a breve distanza dagli archi della stella. Sembra una specie di “muro” di polvere e gas che niente ha a che vedere con la stella moribonda. Si pensa che sia un filamento legato al campo magnetico galattico o il bordo di una nube interstellare, illuminato dalla stessa Betelgeuse.
Facendo un po’ di conti, l’arco più esterno associato alla supergigante colliderà con il muro tra circa 5000 anni. La stella si scontrerà con lui 12500 anni più tardi, sempre che non sia già esplosa prima…
di Vincenzo Zappalà (astronomia.com)

Un’Aragosta cosmica

Una nuova immagine del telescopio VISTA dell’ESO cattura un paesaggio celeste di nubi di gas incandescente e tentacoli di polvere che circondano giovani stelle calde. Questa veduta infrarossa mostra l’incubatrice stellare nota come Nebulosa Aragosta (NGC 6357) sotto una nuova, sorprendente luce.
È stata ottenuta durante una survey di VISTA che sta scansionando tutta la Via Lattea allo scopo di costruire una mappa della sua struttura e di spiegare come si è formata.
A circa 8000 anni luce da noi nella costellazione dello Scorpione, NGC 6357 – a volte soprannominata la Nebulosa Aragosta  per il suo aspetto nelle immagini in luce visibile – è una regione piena di grandi nubi di gas e tentacoli di polvere scura. Queste nubi stanno formando stelle, tra cui alcune molto calde e massicce che risplendono di blu-bianco in luce visibile.
Questa immagine usa dati infrarossi dal telescopio VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) dell’ESO all’Osservatorio di Paranal in Cile. È solo una piccola parte dell’immensa survey chiamata VVV (VISTA Variables in the Vía Láctea) che sta osservando la zona centrale della Galassia. La nuova fotografia mostra un panorama molto diverso da quello delle immagini in luce visibile – come quella del telescopio danese da 1,5 metri a La Silla – poichè la radiazione infrarossa può penetrare gran parte del rivestimento di polvere che avvolge l’oggetto.
Si pensava che una delle stelle giovani e brillanti in NGC 6357, nota come Pismis 24-1, fosse la stella più massiccia conosciuta – finchè non fu scoperto che in realtà era composta da almeno tre enormi stelle brillanti, ciascuna con una massa poco meno di 100 volte quella del nostro Sole. Anche così queste stelle sono dei pesi massimi – tra le stelle più massicce della nostra Via Lattea. Pismis 24-1 è l’oggetto più brillante nell’ammasso stellare Pismis 24, un gruppo di stelle che si pensa si siano formate tutte allo stesso tempo in NGC 6357.
VISTA è il più grande e più potente telescopio per survey mai costruito ed è dedicato a osservare il cielo in luce infrarossa. La survey VVV sta esplorando il rigonfiamento centrale e parte del piano della nostra Galassia per creare un enorme collezione di dati che aiuti gli astronomi a scoprire nuove informazioni sull’origine, sui primi momenti di vita e sulla struttura dalla Via Lattea.
Alcune parti di NGC 6357 sono state osservate anche dal Telescopio Spaziale Hubble della NASA/ESA e dal VLT (Very Large Telescope) dell’ESO. Entrambi i telescopi hanno prodotto immagini in luce visibile di varie zone di questa regione – il confronto con questa nuova immagine infrarossa mostra alcune differenze notevoli. Nell’infrarosso i grandi pennacchi di materiale di colore rossastro sono molto ridotti, con tentacoli di pallido gas violaceo che si dipartono dalla nebulosa in diverse aree.
Fonte: ESO

Il 19 febbraio 1473 nasce l’astronomo polacco Nicolaus Copernicus

Il 19 febbraio 1473 nasce l’astronomo polacco Nikolaj Koppernigk (Nicolaus Copernicus) dal quale prende nome il  sistema copernicano che mutò radicalmente la visione del Sistema Solare.
La sua teoria, che propone il Sole al centro del sistema di orbite dei pianeti componenti il sistema solare, riprende quella greca di Aristarco di Samo dell’eliocentrismo, la teoria opposta al geocentrismo, che voleva invece la Terra al centro del sistema. Merito suo non è dunque l’idea, già espressa dai greci, ma la sua rigorosa dimostrazione tramite procedimenti di carattere matematico.La teoria di Copernico non era però senza difetti, o almeno senza punti che in seguito si sarebbero rivelati fallaci, come per esempio l’indicazione di orbite circolari, anziché ellittiche – come oggi sappiamo – dei pianeti e degli epicicli. Questi errori rendevano i risultati concreti degli studi, come per esempio le previsioni delle effemeridi, non più precise di quanto non fosse già possibile ottenere col sistema Tolemaico.La teoria impressionò grandi scienziati come Galileo e Keplero, che sul suo modello svilupparono correzioni ed estensioni della teoria. Fu l’osservazione galileiana delle fasi di Venere a fornire il primo riscontro scientifico delle intuizioni copernicane.
by regolo (Skylive)

 

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