Gliese 581g è un pianeta adatto alla vita

I cacciatori di pianeti extrasolari hanno fatto centro. A soli 20 anni luce da qui – una distanza relativamente vicina in termini astronomici – c’è un mondo simile al nostro, con le carte in regola per ospitare la vita. Si chiama Gliese 581g ed è il primo pianeta potenzialmente abitabile, dopo centinaia di pianeti extrasolari individuati negli ultimi anni sempre troppo vicini o troppo distanti dalla loro stella o con caratteristiche incompatibili con la vita. Stavolta, invece, i connotati sembrano proprio quelli giusti. Gliese 581g è roccioso, con una massa tre volte la Terra e orbita esattamente nel bel mezzo della fascia di abitabilità, ovvero alla distanza ideale dal suo Sole perché sulla superficie sia presente acqua liquida, una delle condizioni sine qua non per ipotizzare forme di vita extraterrestre. L’abitabilità di un pianeta dipende da molti fattori, ma l’acqua allo stato liquido e la presenza di un’atmosfera sono fra i più importanti. Magari per noi esseri umani Gliese 581g potrebbe non essere un buon posto dove vivere, ma si tratta comunque del primo e più vicino luogo al fuori dal Sistema Solare dove potremmo incontrare la vita, anche se diversa da quella che conosciamo. L’eccezionale scoperta, pubblicata sulla rivista Astrophysical Journal si deve a un gruppo di ricerca coordinato dall’Università della California a Santa Cruz e dalla Carnegie Institution di Washington. Per 11 anni gli scienziati hanno tenuto sotto stretta osservazione il sistema planetario orbitante intorno a una stella molto simile al Sole, la nana rossa Gliese 581, situata nella costellazione della Bilancia. Per 11 anni, hanno collezionato dati con il Keck Observatory nelle Hawaii e misurato in maniera estremamente accurata (con una precisione di 1,6 metri al secondo) la velocità radiale della stella, ovvero quelle minime variazioni di posizione dovute all’effetto gravitazionale dei corpi orbitanti intorno a essa. Nel corso di queste perlustrazioni, erano già stati individuati quattro pianeti, due dei quali ai bordi della fascia di abitabilità, uno sul fronte più caldo e l’altro sul fronte più freddo (e su quest’ultimo gli scienziati non hanno perso le pur debolissime speranze che possa essere abitabile). Ma solo i recentissimi risultati hanno permesso al gruppo di astronomi, capitanato da Steven Vogt e Paul Butler, di rilevare altri due pianeti, portando a sei i membri della famiglia, la più numerosa ad oggi conosciuta al di fuori del nostro Sistema Solare. Ma la sorpresa più grande è stata scoprire che uno dei due (il quinto rispetto alla stella) si trova proprio al centro della fascia di abitabilità.
Gliese 581g avrebbe una forza di gravità di simile a quella terrestre, tale per cui una persona potrebbe tranquillamente camminare in posizione eretta sulla sua superficie. Questo rende possibile anche la presenza di un’atmosfera. Con una massa compresa fra 3,1 e 4,3 masse della Terra e un raggio stimato fra 1,2 e 1,5 raggi terrestri, “Gliese 581g rientra nelle cosiddette Superterre, pianeti simili al nostro anche se la loro struttura potrebbe essere diversa”, commenta Raffaele Gratton, astronomo dell’INAF-OA di Padova. “In questo senso, è il miglior candidato a pianeta abitabile trovato sinora”. Questo nuovo mondo extrasolare ha un’orbita circolare di 36,6 giorni e le sue temperature medie di superficie sono comprese fra -31 gradi e -12 gradi. Dal momento che il pianeta rivolge sempre la stessa faccia alla sua stella, un lato è perennemente illuminato e più caldo, l’altro sempre buio e più freddo. Secondo gli scienziati, sarebbe un ulteriore elemento a favore della presenza di vita, perché il clima sul pianeta sarebbe stabile: “Ogni forma di vita emergente avrebbe un ampio range di climi stabili in cui evolvere a seconda della longitudine”, ha detto Vogt.
Ma come si fa a sapere se effettivamente la vita laggiù si è sviluppata? “Per comprendere se il pianeta possa ospitare forme di vita, occorre poterne studiare l’atmosfera. Pensiamo che l’indicatore fondamentale sia la presenza di O2, molecole di ossigeno che dovrebbero essere abbondanti nell’atmosfera solo in presenza di fotosintesi clorofilliana”, spiega Gratton. “Forme di vita che non usano la fotosintesi sono naturalmente possibili, ma sembra molto più difficile rivelarne la presenza”.
“Nel caso dei pianeti di Gliese 581, che non appaiono transitare sul disco della stella, perché l’orbita è troppo inclinata, dati sull’atmosfera (essenzialmente spettri) possono essere ottenuti solo con immagini dirette.Per esempio con EPICS, lo strumento progettato per E-ELT, che potrebbe essere disponibile tra poco più di un decennio. Si può ragionevomente sperare che questi spettri potranno chiarire se nell’atmosfera di questo pianeta c’è una quantità rilevante di O2. Su una scala temporale più lunga, oltre il 2030, strumenti come il Terrestrial Planet Finder della NASA o eventuali evoluzioni del progetto Darwin dell’ESA potranno probabilmente raggiungere questo obiettivo”.
In tal caso, se la scoperta fosse confermata, “sarebbe probabilmente una di quelle da premio Nobel”, afferma Gratton, “anche se il merito andrebbe diviso tra molti gruppi di ricerca, fondamentali nel campo degli esopianeti”. Per il momento, la scoperta di questo quasi – gemello della Terra apre orizzonti sconfinati e vertiginosi. Secondo gli autori infatti, considerato il numero relativamente basso di sistemi planetari monitorati finora, mondi simili non possono essere rari. “Se lo fossero, non ne avremmo trovato uno così rapidamente e così vicino”, ha detto Vogt. “Il 10-20 per cento dei sistemi solari potrebbe avere pianeti abitabili: moltiplicato per centinaia di miliardi di stelle nella Via Lattea, significa che potrebbero esserci decine di miliardi di altre Terre nella nostra galassia”.
Fonte INAF

Novità: Mercurio è geologicamente attivo!

Mercurio è il pianeta più vicino al Sole e il più ricco di ferro. L’ambiente, sulla sua superficie, è estremamente ostile. Esiste solo una tenue atmosfera di protezione e la temperatura sale fino a 430°C durante il giorno per scendere fino a -180°C nella notte. Nessun altro pianeta presenta una variazione di temperatura così ampia. La sua superficie è stata segnata dal bombardamento di meteoriti ed è scura e polverosa. L’unica sonda a visitare Mercurio è stata la Mariner 10 nel 1974. La traiettoria del Mariner 10 ha permesso però di rilevare solo uno dei due emisferi, ma gli astronomi ritengono che l’altro lato sia simile.
Mercurio è ricoperto da crateri da impatto con dimensioni che vanno da quelle di piccoli crateri a forma di coppa fino a bacini grandi un quarto del diametro del pianeta. Le sue piatte pianure (planitiae) si sono formate quando la lava invase le regioni più depresse. Nell’ultimo miliardo di anni, la frequenza degli impatti è fortemente diminuita, il vulcanesimo è cessato e la superficie si è modificata poco.
In una ipotetica passeggiata su Mercurio potremmo ammirare il Bacino Caloris, un cratere da impatto che ha un diametro di 1350 chilometri. La formazione di questo vasto bacino complesso, più esteso del Texas, è stato uno degli eventi principali nella storia del pianeta. L’asteroide responsabile della creazione del bacino aveva probabilmente un diametro di circa 100 chilometri. I detriti furono eiettati dal cratere fino a 1000 chilometri oltre il bordo esterno, producendo numerosi rilievi radiali. L’impatto tremendo che ha prodotto il Bacino Caloris ha generato onde sismiche che si sono focalizzate sul lato opposto del pianeta, provocando un terremoto. Il Bacino Caloris si è formato probabilmente alla fine del periodo di bombardamento meteorico intenso. In seguito il fondo si è riempito di lava; il bacino è attualmente profondo 2 chilometri. Il nome “Caloris” deriva dalla parola latina che significa “caldo” e quando il Sole si trova allo zenit in corrispondenza del perielio, è uno dei luoghi più caldi di Mercurio. Il Bacino Caloris si trova nella regione del pianeta chiamata Shakespeare.
Sempre in questa regione, a nord del Bacino Caloris, ecco il Cratere Brahms, un altro cratere da impatto del diametro di 97 chilometri. Brahms ha un picco montuoso centrale di circa 20 chilometri.
Nella regione Shakespeare si trova anche il Cratere Degas, del diametro di 60 chilometri. anche questo formatosi dopo un impatto.
Nella regione Renoir si trova invece il Discovery Rupes, un rilievo lungo 500 chilometri. Questo rilievo ha un’altezza di 2 chilometri ed è il più lungo di Mercurio.
Infine nella regione Beethoven, incontriamo il Cratere Bach del diametro di 214 chilometri.
Sulla rivista Orione di ottobre 2010 è apparso un articolo in cui si spiega che vi è la quasi certezza che Mercurio è stato un pianeta geologicamente attivo e forse mantiene tuttora una attività endogena. Lo documenta uno studio di Louise Procter della NASA. Al lavoro hanno collaborato anche Gabriele Cremonese dell’INAF e alcuni ricercatori dell’Università di Padova.
“Abbiamo osservato un bacino di origine vulcanica caratterizzato da una superficie eccezionalmente liscia, dove un tempo scorreva lava”, spiga Cremonese. “Questa depressione di 230 Km di diametro – chiamata Bacino Rachmaninoff dal nome del musicista e compositore – è caratterizzata da un anello circondato da depositi minerali brillanti che potrebbero costituire la più interessante evidenza vulcanica di Mercurio identificata finora”. Il bacino, rispetto al resto della superficie di Mercurio, è più giovane di un miliardo di anni. “Secondo i nostri calcoli – conclude Cremonese – il bacino Rachmaninoff potrebbe essersi formato negli ultimi 300-400 milioni di anni”.
Vedi anche l’articolo “Che alba su Mercurio!” pubblicato il 06/08/2010 nella categoria Meraviglie del Sistema Solare
Una Stella per Amica

Raggi gamma dalla Nebulosa del Granchio

Emissione di raggi gamma dalla Nebulosa del Granchio. Il fenomeno registrato tra il 19 e il 21 settembre dal satellite italiano AGILE (missione dell’Agenzia Spaziale Italiana condotta in collaborazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) non ha precedenti e ha spinto il team del satellite Fermi, una volta che anche i loro strumenti hanno confermato quanto rilevato dal satellite per Raggi Gamma AGILE, a sospendere le attività di “all sky scanning” (la scansione completa del cielo) per concentrarsi sulla regione della Nebulosa del Granchio dove è stato rilevato il fenomeno. Il team italiano di AGILE, guidato da Marco Tavani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, nell’avvisare la comunità scientifica internazionale del fenomeno rivelato, ha sollecitato telescopi e satelliti a focalizzare l’attenzione sulla nebulosa del Granchio.
I satelliti Chandra e Hubble hanno comunicato di avere indirizzato il proprio sguardo su questa famosa Nebulosa, scoperta a occhio nudo nel 1054 da astronomi cinesi e arabi e distante 6000 anni luce dalla Terra. Anche il satellite della NASA Swift ha puntato più volte la Nebulosa del Granchio e una volta il satellite dell’ESA Integral.
E’ lo stesso Marco Tavani a darne conferma: “Oggi HST e Chandra puntano la Crab Nebula dopo l’inaspettata scoperta di AGILE di un forte flare gamma durato 2-3 giorni. Si cerca di capire se ci sono variazioni nella parte interna della nebulosa, collegate con il flare gamma”. L’attesa è tanta.
FONTE INAF

Qui cadde Fetonte colpito da una saetta di Zeus

L’Eridano fa parte delle 48 costellazioni elencate da Tolomeo ed è oggi una delle 88 costellazioni moderne (rappresenta, almeno nella cultura greco – latina, il fiume Po). Il mito racconta che un giorno Fetonte, figlio di Apollo, decise di guidare il carro celeste del padre sul quale era posto il Sole. Apollo si raccomandò di non avvicinarsi troppo alla Terra poiché il calore del Sole l’avrebbe bruciata. Durante il tragitto però Fetonte perse il controllo dei cavalli avvicinandosi troppo al suolo e causando incendi ovunque; per salvare l’umanità Zeus fu costretto a lanciare una saetta contro Fetonte, uccidendolo all’istante. Il corpo di Fetonte cadde proprio nel fiume Eridano. Anche presso gli egizi ritroviamo questa costellazione, che però rappresenta, com’è logico, non il Po ma il Nilo.
Copre 1138 gradi quadrati e culmina al meridiano intorno alle 22 del 10 dicembre. La parte meridionale di Eridano non è visibile alle nostre latitudini. Non contiene oggetti importanti del profondo cielo adatti alla visione degli astrofili. E’ facilmente individuabile in quanto la stella Beta, di mag. 2.8, si trova in prossimità di Rigel (Beta Orionis).
La stella Alfa si chiama Achernar e il nome significa “foce del fiume”; di magnitudine 0,5 è la sesta stella del cielo per luminosità. E’ posta all’estremità meridionale di Eridano e non è visibile alle nostre latitudini.
La stella Beta si chiama Cursa e una volta era inclusa nella costellazione di Orione. La magnitudine è 2,8 e la classe spettrale A3. Segna la sorgente del fiume che sfocia presso Alfa Eridani.
Epsilon si trova a 10,5 anni luce da noi. E’ una nana gialla di classe spettrale K0 abbastanza simile al Sole; la sua luminosità è pari a 0,28 volte quella della nostra stella. La magnitudine è di 3,7 ed è circondata da uno o più corpi celesti di classe planetaria. Fra i sistemi planetari noti nella costellazione, il più importante e studiato è proprio quello di Epsilon Eridani, grazie al fatto che trovandosi a soli 10 anni luce dal Sole è il nono sistema stellare più vicino, nonché la terza stella più vicina visibile ad occhio nudo; attorno ad essa è presente un disco di polveri più un pianeta gioviano con una massa pari a oltre tre volte quella di Giove. Analizzando il disco di polveri si è scoperto che nella regione esterna si troverebbe un secondo pianeta di massa inferiore a quella di Giove. Un secondo sistema planetario relativamente vicino è quello di Gliese 86 distante circa 36 anni luce e ospitante un pianeta gioviano caldo.
Questa grande costellazione si trova tutta ad elevate latitudini galattiche ed è quindi ricca di galassie. Fra queste ricordiamo NGC 1084, NGC 1187, NGC 1232, NGC 1309, NGC 1332, NGC 1357, NGC 1395, NGC 1400, NGC 1407, NGC 1421, NGC 1440, NGC 1453 (è il membro più importante di un gruppetto di galassie che comprende anche NGC 1441, 1449 e 1451), NGC 1600, NGC 1637, NGC 1700 e NGC 1699.
NGC 1909 è un residuo di supernova e nebulosa a riflessione. Gigantesco, è visibile oggi soprattutto grazie al riflesso della luce di Rigel che dista meno di 3°.
NGC 1535 è una nebulosa planetaria distante circa 2200 anni luce dalla Terra. La stella centrale sfiora magnitudine 12. La temperatura è di poco inferiore ai 40.000 K.
Una Stella per Amica

Una nube di idrogeno in rotta di collisione con la Via Lattea

Una gigantesca nube di idrogeno sta viaggiando alla fantastica velocità di 240 Km/s lungo una traiettoria che in meno di 40 milioni di anni la porterà a collidere con la nostra Galassia, scatenando uno spettacolare processo di formazione stellare. Ma c’è di più: il processo di interazione con le regioni più periferiche della Via Lattea sarebbe già iniziato. La Nube di Smith, dal nome della giovane radioastronoma che la scoprì nel 1963, contiene una quantità di idrogeno molecolare che sarebbe sufficiente per formare oltre un milione di stelle come il nostro Sole: è lunga 11 mila anni luce, larga 2500 anni luce e dista soltanto 8 mila anni luce dal disco della nostra Galassia, contro il quale impatterà lungo una traiettoria inclinata di circa 45 gradi. La Nube di Smith, infatti, è già legata gravitazionalmente alla Via Lattea, ma la sua traiettoria orbitale non è stata ancora definita con precisione. Sembra comunque certo che attraverserà una regione del disco galattico localizzata nel braccio a spirale del Perseo, a una distanza dal Sistema Solare inferiore a quella che lo separa dal centro della Galassia.
Quando il gas della nube entrerà in collisione con il gas e le polveri del disco della Via Lattea darà origine a onde d’urto che innescheranno il collasso gravitazionale di molte nubi, con la conseguente nascita di numerose nuove stelle in una regione a forma di anello. Molte di queste stelle saranno massicce ed evolveranno in maniera estremamente rapida esplodendo come supernovae. Se, avvicinandosi alla Via Lattea, la gigantesca Nube di idrogeno si frammenterà, gli effetti potrebbero essere meno appariscenti.
A questo riguardo si pensa che la Cintura di Gould, un gruppo di stelle molto giovani distribuite a forma di anello, il cui diametro è approssimativamente di 3000 anni luce, possa essere stata originata in questo modo fra 30 e 50 milioni di anni fa. La Cintura di Gould, che ha preso il nome dall’astronomo Benjamin Gould che la scoprì nel 1879, è formata da stelle giganti di tipo spettrali O e B, da molte stelle di piccola massa e da una grande quantità di gas interstellare atomico e molecolare. La sua massa totale è stimata pari a 100 mila volte quella del Sole. Si trova nello stesso braccio di spirale della Galassia a cui appartiene il Sole, il quale fa anch’esso parte di questo complesso stellare, distando dalla sua regione centrale circa 325 anni luce.
Riguardo all’origine della Nube di gas, le ipotesi sono state per anni essenzialmente due: o si tratta di materiale residuato dalla formazione della Via Lattea, oppure è stata sottratta dalla nostra Galassia a una vicina compagna. Adesso è ormai certo che la Nube si sta dirigendo verso il disco della nostra Galassia e non lo sta lasciando. Inoltre l’interazione fra il gas e l’anone è già iniziata. La forma elongata è l’effetto delle forze mareali della Via Lattea che potrebbero portare alla sua frammentazione.
Il disco della Galassia sarà investito da una pioggia di idrogeno gassoso il un periodo compreso fra 20 e 40 milioni di anni, ma i nostri discendenti non dovranno preoccuparsene. Infatti anche se il nostro sistema planetario si trovasse in corrispondenza della zona in cui avrà luogo l’impatto non si verificherebbero effetti eccezionali o catastrofici (la densità media della Nube è inferiore a quella dell’aria in una camera ove esista il vuoto più spinto che si possa raggiungere nei nostri laboratori). L’unico problema potrebbe essere l’incremento del numero di esplosioni di supernova che si verificheranno qualche milione di anni dopo il passaggio della Nube. Altre gigantesche nubi di idrogeno sono state osservate nelle vicinanze della Via Lattea, ma il loro moto non è stato ancora misurato: è molto probabile che alcune di esse siano in rotta di collisione con la Via Lattea, né è da escludere che nubi di idrogeno come quella di Smith collidano regolarmente con la nostra Galassia, rifornendola di nuovo materiale da cui si formano stelle di ultima generazione.
(da “La cattura della Nube di Smith”di Mario Di Martino Le Stelle rivista di cultura astronomica marzo 2008 pagina 16).

Herschel, il musicista che amava le stelle e scopriva i pianeti

Fu astronomo, fisico ed anche musicista. Stiamo parlando di Sir Frederick William Herschel nato ad Hannover nel 1738. Il padre, Isaac, era un musicista e riuscì a trasmettere a tutti i figli (di cui solo sei su dieci sopravvissero fino in età adulta), tranne che alla primogenita, la passione per la musica. All’età di quattordici anni, dopo aver ultimato gli studi presso la scuola della guarnigione, William, entrò a far parte della banda del padre e, poco dopo lo scoppio della Guerra dei Sette Anni, lasciò il servizio militare per emigrare con il fratello Jacob in Inghilterra. Qui, in pochi anni, riuscì a conquistarsi una solida reputazione come solista (oboe e violino) e insegnante di musica. Da autodidatta, iniziò lo studio dell’astronomia e, nel 1776, iniziò anche a costruire i primi telescopi (dapprima di tipo gregoriano e poi di tipo newtoniano).
Il 13 marzo del 1781, durante una rassegna dei cieli finalizzata alla scoperta di stelle doppie da usare per la misura delle parallassi stellari, scoprì accidentalmente quello che si sarebbe rivelato essere il pianeta Urano. Convinto di avere scoperto una semplice cometa, Herschel comunicò la notizia alla Bath Philosophical Society e alla Royal Society inglese in un breve saggio dal significativo titolo di “Account of a Comet”.
Nel 1782 venne nominato Astronomo del Re (una carica ideata appositamente per lui e che non va confusa con quella di Astronomo Reale, che, all’epoca, era attribuita a Nevil Maskelyne) e si trasferì da Bath a Windsor, alloggiando dapprima a Datchet e poi a Slough.
Re Giorgio III, oltre a un vitalizio di 200 sterline l‘anno, gli elargì anche una somma di 2.000 sterline per la costruzione di un grande telescopio riflettore, con uno specchio primario del diametro di oltre un metroe una lunghezza focale di 40 piedi.
Con i telescopi a specchio, che egli stesso realizzò e che risultarono essere tra i più potenti dell’epoca, compì alcune notevoli scoperte: nel 1787 Titania e Oberon satelliti di Urano; nel 1789 Mimante e Encelado, satelliti di Saturno.
In “On the Construction of the Heavens” riuscì a descrivere la struttura tridimensionale della Via Lattea. Frutto delle sue osservazioni della sfera celeste furono tre cataloghi contenenti la descrizione di circa 2.500 nebulose, che vennero presentate come i luoghi di nascita delle galassie.
Ad Herschel spetta infine la scoperta dei raggi infrarossi, compiuta con un ingegnoso esperimento eseguito nel 1800. Pose un termometro a mercurio nello spettro prodotto da un prisma di vetro, per misurare il calore delle differenti bande di luce colorate. Scoprì che il termometro continuava a salire anche dopo essersi mosso oltre il bordo rosso dello spettro, dove non c’era più luce visibile. Fu il primo esperimento che mostrò come il calore poteva trasmettersi grazie a una forma invisibile di energia. Sir Frederick William Herschel morì il 25 agosto 1822 a Slough.
Gli sono stati intitolati il William Herschel Telescope, un telescopio inglese situato nelle Isole Canarie e il telescopio spaziale dell’Agenzia Spaziale Europea, l’Herschel Space Observatory (HSO) lanciato il 14 maggio 2009.
Sono stati chiamati col suo nome l’asteroide 2000 Herschel e il più grande cratere di Mimas, uno dei satelliti di Saturno.

Non è un Ufo, è Giove!

Se in queste notti un brillantissimo punto luminoso nel cielo dovesse catturare la vostra attenzione, non preoccupatevi: non si tratta di una stella apparsa improvvisamente o, peggio, di un UFO, come è stato segnalato da più di qualcuno alla trasmissione televisiva Striscia la Notizia.
Molto più semplicemente è Giove, il pianeta più grande del nostro Sistema solare, che si trova in una posizione particolarmente ravvicinata a noi: certo, stiamo parlando di qualcosa come 600 milioni di chilometri – quasi quattro volte lo spazio che ci separa dal Sole – ma è pur sempre una distanza di 75 milioni di chilometri inferiore ai precedenti avvicinamenti del pianeta alla Terra. Per ritrovare una situazione simile bisogna tornare indietro al 1963, mentre il prossimo passaggio ravvicinato è previsto per il 2022.
Al di là delle considerazioni puramente astronomiche, volete avere qualche “dritta” per individuare Giove in queste serate? Disponendo di un campo di vista non troppo coperto da palazzi o alberi, vi basterà puntare lo sguardo – magari aiutandosi con una bussola – tra sud ed est. Il pianeta sarà ben visibile con la sua luce brillante. Una luce che, contrariamente agli altri “puntini luminosi” circostanti (le stelle), non sembra presentare tremolii: è la caratteristica che identifica la luce riflessa dai pianeti.
Qualora però la vostra “caccia” risultasse vana, oppure voleste approfondire la vostra conoscenza del cielo, potrebbe tornarvi utile e istruttivo un software che riproduce la volta celeste, in qualunque luogo di osservazione sulla Terra e in qualunque giorno dell’anno: Stellarium. Questo programma, un vero e proprio “simulatore di cielo”, è totalmente gratuito. Nel suo archivio sono presenti 600.000 stelle, un numero spropositato rispetto a quello che l’occhio umano può percepire. Infatti, in condizioni ideali e con buio assoluto, una persona con un’ottima vista può contarne al più qualche migliaio in tutto il cielo. E per chi proprio non si accontenta, ci sono pacchetti di dati che, una volta installati, ampliano gli astri censiti a oltre 210 milioni. Nel programma sono ovviamente presenti e visualizzabili tutti i pianeti del Sistema solare, gran parte delle loro lune, la rappresentazione della Via Lattea, oltre a centinaia di nebulose e galassie. Il tutto presentato con un’interfaccia molto intuitiva e anche in lingua italiana. Insomma, con l’aiuto di Stellarium, cercando qualche oggetto celeste, non avrete più la scusa di dire “non l’ho trovato”! Maggiori informazioni si possono trovare su Stellarium.
FONTE INAF

La luce di Arturo per Chicago

La stella Alfa della costellazione del Boote è Arturo, la stella più luminosa della costellazione. Arturo è distante 36,7 anni luce e ha magnitudine apparente -0,05 e assoluta -0,31 (110 volte la luminosità intrinseca del Sole), massa 1,9 e diametro 29 volte il Sole. La sua classe spettrale è K2III, la temperatura superficiale 4500 K. Si tratta di una stella di Popolazione II, membro dell’alone galattico, che si trova casualmente in questo momento, seguendo la sua orbita fortemente inclinata sul piano galattico, a passare nelle vicinanze del Sole. Proseguendo il suo viaggio alla velocità di 150 Km/s, fra soli 500.000 anni (un nulla su scala astronomica) sarà invisibile ad occhio nudo. Arturo divenne famosa presso l’opinione pubblica perché nel 1933 la sua luce venne focalizzata dei telescopi su delle cellule fotoelettriche e la corrente generata fu usata per attivare l’interruttore delle luci in occasione dell’inaugurazione della grande esposizione “Il secolo del Progresso” di Chicago. Fu scelta proprio Arturo perché allora si pensava che la sua distanza fosse di 40 anni luce e quindi la sua radiazione fosse partita esattamente quando, nel 1893, a Chicago era stata tenuta un’altra famosa fiera tecnologica.

La stella del diavolo

La stella Beta della costellazione del Perseo si chiama Algol. Il nome Algol significa dall’arabo stella del diavolo; e questo nome deriva probabilmente proprio dal suo comportamento.
Si tratta della più famosa delle stelle variabili, prototipo delle binarie a eclisse dette appunto “tipo Algol”, caratterizzate da una netta separazione fra le componenti, che mantengono perciò una forma approssimativamente sferica. La variabilità di Algol fu scoperta da Geminiano Montanari nel 1667 e il suo periodo da John Goodricke nel 1782, che suggerì anche correttamente che la causa della variazione dovesse essere attribuita all’eclisse parziale di una stella da parte di un compagno. L’ipotesi venne confermata spettroscopicamente nel 1889 da H. C. Vogel.
L’osservazione diretta delle variazioni luminose di Algol è uno spettacolo che qualsiasi astrofilo non può perdere. Se si inizia ad osservare nel momento del minimo la vedremo salire al massimo, diventando tre volte più brillante (dalla magnitudine 3,4 alla 2,1) in poche ore.
Ma ancora più repentina (e spettacolare) è la variazione dal massimo al minimo. La discesa al minimo e la successiva risalita durano globalmente dieci ore, ma la stella passa dalla magnitudine 2,2 alla 3,1 in sole 3,3 ore e alla 3,4 in 4,1 ore. La risalita alla magnitudine 2,2 è appena un po’ più lunga, 5,8 ore. Il periodo di Algol è esattamente di 2,86739 giorni.
La distanza della coppia è di 93 anni luce. La stella primaria è di tipo spettrale B8V, diametro 2,9 e massa 3,7 volte quelli del Sole, luminosità 120 volte superiore (magnitudine assoluta -0,4), temperatura superficiale 13.000 K. La compagna è di tipo spettrale K2, diametro 3,5 e massa 0,81 volte quelli del Sole, magnitudine assoluta 3,1 (cinque volte più luminosa del Sole), temperatura 4500 K.
La separazione fra le due stelle è di 10,8 milioni di chilometri. Durante l’eclisse, il 79% della primaria è nascosto dalla secondaria. C’è anche un minimo secondario quando la primaria nasconde la secondaria, visibile però solo per via fotoelettrica.
Esiste anche una terza stella, leggermente più luminosa della secondaria, di tipo spettrale F1, diametro 1,4 e massa 1,6 volte quelli del Sole, temperatura 7000 K, orbitante a 280 milioni di chilometri di distanza con un periodo di 1,862 anni su una traiettoria fortemente inclinata.
La secondaria ha una superficie molto attiva, coperta da molte macchie, e una corona osservabile in onde radio e in raggi X. Essa ha riempito il proprio Lobo di Roche e ad ogni piccola espansione ulteriore un sottile getto di gas si allontana dalla fotosfera a più di 500 Km/s e precipita sulla primaria, generando nel punto colpito una macchia calda a 100.000 K di temperatura. A causa del piccolo angolo di caduta del getto sulla primaria, questo forma attorno ad essa un disco di accrescimento asimmetrico e fortemente variabile, forse a causa dell’irregolarità con la quale il getto “trabocca” dal Lobo di Roche della secondaria.
(da I nomi delle stelle di Gabriele Vanin pagina 101)

Cor Caroli: in onore del re d’Inghilterra!

La stella Alfa della costellazione boreale dei Cani da Caccia è la famosa Cor Caroli. Il nome, che in latino significa “Cuore di Carlo”, è stato indicato per la prima volta in una carta celeste nel 1673 dal cartografo inglese Francis Lamb sotto la forma Cor Caroli Regis Martyris. Fu Charles Scarborough, medico di corte di Carlo II d’Inghilterra ad attribuirle questo nome, affermando di averla vista brillare con una luce particolarmente intensa la notte del 29 maggio 1660, quando Carlo II ritornò a Londra restaurando la monarchia e vendicando in un certo senso il padre Carlo I, decapitato nel 1649 dai repubblicani capitanati da Cromwell.
Cor Caroli è una delle più celebri doppie del cielo. Per molto tempo si è ritenuto che si trattasse di una coppia fisica, ma la parallasse delle due stelle non ammette discussioni: la stella più brillante, chiamata Alfa 2 Cvn, è distante 110 anni luce, mentre la più debole, Alfa 1 Cvn, è più vicina, collocandosi a 82 anni luce.
La Alfa 2 ha magnitudine apparente 2,89v e assoluta 0,25 (65 volte il Sole), spettro A0 e temperatura 12.600 K, la sua massa vale 3,4 masse solari e il suo diametro 2,8 diametri solari. Si tratta di una stella molto peculiare, prototipo delle stelle tipo Alfa Cvn, che presenta sia leggere variazioni di luminosità che spettrali. Infine la stella possiede un intenso campo magnetico che varia periodicamente in fase con le variazioni spettrali.
Alfa 1 Cvn ha magnitudine apparente 5,61 e assoluta 3,62 (2,8 il Sole), tipo spettrale F0, temperatura 7100 K, massa e diametro entrambi 1,5 volte quelli del Sole.

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