Della materia che occupa la vasta distesa tra i sistemi di stelle all’interno di una galassia sappiamo ancora pochissimo, ma grazie allo studio appena presentato da un gruppo internazionale di scienziati, tra cui spicca la partecipazione della Johns Hopkins University, potremmo essere a un passo dalla soluzione di quel puzzle noto come ‘polvere di stelle’ che da quasi un secolo ancora resta un mistero. I ricercatori sono convinti che il loro lavoro dimostri, nei fatti, un nuovo modo di ottenere localizzazione e composizione della materia che si nasconde fra le stelle della Via Lattea. Un insieme di materiali che comprende polveri e gas composti da atomi e molecole, residui di stelle che hanno concluso il loro ciclo vitale. Materiale che certo costituisce la base per nuove stelle e pianeti. “Si dice che, in fondo, siamo tutti polvere di stelle, dal momento che tutti gli elementi chimici più pesanti dell’elio sono prodotti nelle stelle”, spiega Rosemary Wyse, docente di fisica e astronomia alla Johns Hopkins e prima autrice della ricerca che ha permesso di disegnare la nuova mappa della Galassia. “Ma quel che non sappiamo ancora è perché le stelle preferiscano alcuni luoghi dello spazio per il loro processo di formazione. Questo lavoro ci fornisce nuovi elementi per comprendere il mezzo interstellare da cui si formano gli astri che punteggiano l’Universo”. In particolare lo studio si concentra su un particolare fenomeno di assorbimento della luce stellare, conosciuto come diffuse interstellar band (DIBS). Noto dagli anni Venti del secolo scorso, consiste nella mancanza di alcune linee nello spettro luminoso di stelle, che, per la loro posizione rispetto a noi, si trovano ‘nascoste’ dietro un mezzo interstellare che per proprietà chimiche ne assorbe parte della luce. Dal 1922, anno della prima scoperta, gli scienziati hanno riscontrato oltre 400 fenomeni di DIBS. La materia che causa le bande nere nello spettro luminoso, come d’altra parte la sua precisa ubicazione, è però rimasta un mistero. Il tipo di assorbimento che si registra indica presenza di grandi molecole complesse. Ma non esistono evidenze scientifiche. Inutile dire che fisica e chimica di queste regioni sono elementi chiave per comprendere i processi di formazione di stelle e galassie. Indizi più concreti ora possono essere dedotti dalle mappe appena pubblicate su Science, e prodotte dai 23 scienziati che hanno partecipato allo studio. Le mappe sono state assemblate grazie ai dati raccolti dal Radial Velocity Experiment – un progetto che coinvolge oltre 20 istituti sparsi per il mondo e coordinato dal Leibniz-Institut für Astrophysik di Potsdam – in 10 anni di attività, utilizzando lo UK Schmidt Telescope in Australia. Dati per 500.000 stelle: un campione significativo che ha permesso ai cartografi di determinare la distanza cui si trova il materiale che provoca i DIBS e di conseguenza come il mezzo interstellare si distribuisca in tutta la Via Lattea. Ma dalle mappe si vede anche di più. Le molecole complesse ritenute responsabili del fenomeno dei DIBS sono infatti distribuite in modo diverso rispetto ad altri componenti conosciuti del mezzo interstellare (le particelle solide che solitamente chiamiamo polveri). “Per capire qualcosa di più sul mezzo interstellare, dobbiamo anzitutto avere un’idea chiara di come sia distribuito all’interno della nostra galassia”, conclude Wyse. “E questo è quanto ha prodotto il nostro lavoro. In futuro potremo raccogliere maggiori dettagli, ora abbiamo un metodo che funziona”. (Media Inaf).
In astronomia, il mezzo interstellare (abbreviato in ISM, dall’inglese InterStellar Medium) è il materiale rarefatto costituito da gas e polvere che si trova tra le stelle all’interno di una galassia. Il mezzo interstellare galattico è colmato da energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e si mescola gradatamente al mezzo intergalattico circostante. Fino alla fine del XIX secolo, lo spazio interstellare era considerato sostanzialmente vuoto. Nel 1904, l’astronomo tedesco Johannes Hartmann scoprì il gas interstellare, mentre ventisei anni dopo, nel 1930, lo svizzero Robert Trumpler scoprì la polvere interstellare, che causava l’arrossamento del colore delle stelle lontane. Il mezzo interstellare consiste di una miscela piuttosto rarefatta di ioni, atomi, molecole, granuli di polvere, raggi cosmici e campi magnetici;[2] in massa il 99% della materia è costituito dai gas, il restante 1% dalle polveri. Le densità (ρ) variano da poche migliaia ad alcune centinaia di milioni di particelle per metro cubo, con un valore medio attestato nella Via Lattea di un milione di particelle al m3 (1 particella al cm3). Il Sole, ad esempio, sta attualmente viaggiando, nel corso della sua orbita attorno al centro galattico, all’interno della Nube Interstellare Locale (ρ=0,1 atomi cm−3), posta a sua volta all’interno della Bolla Locale (ρ=0,05 atomi cm−3). Come risultato della nucleosintesi del Big Bang, il gas del mezzo interstellare è costituito all’incirca all’89% da idrogeno e per il 9% da elio, con un 2% di elementi più pesanti (definiti nel gergo astronomico “metalli”) e composti in tracce. Il mezzo interstellare gioca un ruolo importante in astrofisica per via del suo ruolo di “via di mezzo” tra ordini di grandezza stellari ed ordini di grandezza galattici. Le stelle inoltre interagiscono in molteplici modi col mezzo interstellare: innanzi tutto si formano all’interno delle regioni più dense dell’ISM, le nubi molecolari, quindi ne plasmano le strutture grazie ai loro venti e ne modificano la composizione, arricchendola degli elementi più pesanti prodotti al loro interno, una volta giunte al termine della loro evoluzione, tramite l’emissione di una nebulosa planetaria o l’esplosione di una supernova; quest’ultimo meccanismo è alla base della produzione degli elementi più pesanti del ferro, l’ultimo elemento sintetizzabile nel nucleo di una stella. Queste continue interazioni tra stelle e ISM aiutano a determinare il tasso al quale una galassia consuma le sue riserve gassose, e dunque permette di misurare il tempo in cui essa va incontro ad un’attiva formazione stellare.
Composizione
Il mezzo è composto normalmente per il 99% da gas e per l’1% da polveri. Il gas è composto mediamente per il 90% da idrogeno e per il 10% da elio, con tracce di elementi più pesanti (chiamati sia pur impropriamente metalli in termini astronomici). Tra questi sono presenti calcio, neutro o sotto forma di cationi Ca+ (90%) e Ca++ (9%), molecole inorganiche (H2O, CO, H2S, NH3, HCN) e organiche (formaldeide, acido formico, etanolo) e radicali (HO°, CN°). Questo mezzo è in genere estremamente tenue: le densità variano da pochi atomi a poche centinaia di atomi per centimetro cubo (il che è comunque un milione di volte più denso delle regioni al di fuori di una galassia). Recenti studi hanno mostrato che la densità nelle vicinanze del Sole (entro 15 anni luce) è molto più bassa della media galattica: da 0,04 a 0,1 atomi per centimetro cubo. La composizione del mezzo interstellare è diversa nei vari tipi di galassie: nelle ellittiche esso è quasi completamente assente, nelle lenticolari è presente in misura ridotta, mentre è maggiormente presente nelle galassie più giovani, come le galassie spiraliformi, tra cui la Via Lattea. Le caratteristiche prominenti del mezzo interstellare sono quelle dove, per un motivo o per l’altro, esso è più concentrato: nubi molecolari giganti (in cui è spesso presente una viva attività di formazione stellare), nubi interstellari, resti di supernova, nebulose planetarie ed altre strutture diffuse e nebulari.
Effetti
L’effetto del mezzo interstellare sulle osservazioni è chiamato estinzione: la luce di una stella viene diminuita di intensità perché è rifratta ed assorbita dal mezzo. L’effetto è diverso a seconda della lunghezza d’onda della luce. Per esempio, la lunghezza d’onda tipica per l’assorbimento dell’idrogeno molecolare si trova a circa 92 nm, n=1, cioè la transizione Lyman-alpha. Perciò è quasi impossibile vedere la luce emessa dalla stella a questa lunghezza d’onda, perché è assorbita quasi tutta durante il suo viaggio verso la Terra. È però possibile studiare il mezzo interstellare proprio sfruttando la sua estinzione: le diverse bande di assorbimento, non attribuibili alla stella, danno informazioni sulla densità e sulla velocità del gas che lo compone. Le informazioni sono state ricavate studiando una singola riga del suo spettro, la radiazione a 21 cm dell’idrogeno.
Fasi
Il mezzo interstellare è in genere diviso in tre “fasi”, a seconda della sua “temperatura”: caldo (milioni di gradi), temperato (migliaia di gradi), e freddo (poche decine di kelvin). È da notare che la “temperatura” è considerata in questo caso come espressione della velocità delle particelle di gas, se la si misurasse con un termometro esso registrerebbe in ogni caso valori vicini allo zero assoluto. Il modello a tre fasi fu introdotto da Chistopher McKee e Jeremiah Ostriker in un articolo del 1977, ed ha formato la base degli studi successivi. La proporzione relativa di queste tre fasi è ancora oggetto di dibattito. (Wikipedia)