Pan, così piccola eppure così potente

Conoscete la luna Pan? È un piccolo satellite naturale di Saturno, anzi il più interno nel sistema di lune del sesto pianeta del Sistema solare. La minuscola (in termini astronomici) luna – scoperta nel 1990 – orbita in apparenza da sola attorno al pianeta gigante all’interno della divisione di Encke, nell’anello A, ma ha un ruolo fondamentale perché la sua particolare orbita in prossimità dell’anello planetario contribuisce a mantenerlo stabile anche se ne modifica la forma e l’estensione. Pan misura solo 28 chilometri di diametro ma contribuisce non poco all’immagine iconica del Signore degli Anelli. Con la sua gravità crea delle vere e proprie onde tra gli anelli A e B che sono facilmente riconoscibili nei colori più chiari o più scuri nella foto. Questa immagine è stata scattata lo scorso 2 luglio dalla sonda di NASA/ESA/ASI Cassini, che orbita attorno al pianeta Saturno e le sue lune dal 2004. La NAC (narrow-angle camera) della navicella ha preso la foto da una distanza di 1,4 milioni di chilometri. Cassini ci regalerà dati e immagini mozzafiato come questa ancora per un anno, perché il 15 settembre 2017 la sonda si getterà – letteralmente – tra gli anelli di Saturno per gli studi finali per poi “immolarsi” nell’atmosfera del pianeta che la distruggerà.
di Eleonora Ferroni (INAF)

Tuffo virtuale nei geyser di Encelado

Le prime osservazioni dei geyser presenti su Encelado, una delle lune ghiacciate di Saturno, risalgono al 2005 e sono state effettuate grazie alla sonda Cassini. I processi che generano e sostengono queste eruzioni, però, sono rimaste a lungo un mistero. Di recente, due scienziati dell’Università di Chicago e dell’Università di Princeton potrebbero essere riusciti a individuare il meccanismo attraverso il quale le eruzioni su Encelado vengono prodotte. Sembra che le colpevoli siano le sollecitazioni mareali esercitate da Saturno. «Sulla Terra le eruzioni tendono ad avere una durata limitata», dice Edwin Kite, professore di scienze geofisiche presso l’Università di Chicago. «Quando osserviamo delle eruzioni che durano nel tempo, significa che sono poche e localizzate ad ampie distanze una dall’altra». Encelado, invece, ospita molto probabilmente un oceano al di sotto della sua superficie ghiacciata, ed è riuscito a formare molte fessure ravvicinate tra loro all’altezza del suo polo sud. Queste fessure sono state chiamate “tiger stripe”, letteralmente “strisce di tigre”, poiché la loro forma ricorda le macchie che si osservano sul manto di una tigre. Dalle tiger stripe vengono emessi sbuffi di vapore e particelle ghiacciate, e questa emissione prosegue indisturbata da decenni, se non addirittura da tempi più antichi. «È un mistero che queste fessure continuino a essere attive nonostante la presenza di ghiaccio», dice Kite. «Ed è altrettanto misterioso il fatto che l’energia sottratta all’acqua dall’evaporazione non ne provochi la trasformazione in ghiaccio». Occorre una fonte di energia che bilanci il raffreddamento dovuto al fatto che l’acqua evapora. «Riteniamo che una probabile fonte di energia risieda in un meccanismo di dissipazione mareale che non era stato preso in considerazione in precedenza», spiega Kite. «Questo nuovo lavoro è molto interessante, poiché mette in evidenza un processo che ci era sfuggito: l’estrazione di acqua dalle fratture profonde della crosta ghiacciata di Encelado ad opera di forze mareali», dice Carolyn Porco, capo del team di imaging della missione Cassini. Kite ha definito Encelado «il miglior esperimento di astrobiologia nel sistema solare», e in effetti questa luna è uno dei candidati più forti per la ricerca di vita extraterrestre. I dati raccolti dalla sonda Cassini hanno indicato che il criovulcanesimo su Encelado ha origine in un ambiente acquatico favorevole alla presenza di biomolecole. Il criovulcanesimo può avere avuto un ruolo chiave anche nel definire e modellare la superficie di Europa, una delle lune di Giove. «Europa ha molte somiglianze con Encelado, quindi spero che il nostro modello potrà essere utile anche per gli studi che riguardano questa luna gioviana», aggiunge Kite. Kite e il suo collega Allan Rubin dell’Università di Princeton si sono domandati come mai Encelado mantenesse un livello base di criovulcanesimo lungo tutta la propria orbita, senza che le sue fessure mostrassero segni di congelamento. Il risultato dei loro studi è un modello teorico che sembra rispondere a tutti gli interrogativi rimasti aperti, ed è stato chiamato “modello Kite-Rubin”. Il modello Kite-Rubin consiste in una serie di fessure verticali quasi parallele che, partendo dalla superficie, raggiungono lo strato di acqua sottostante. A questa trama di fessure gli scienziati hanno applicato le sollecitazioni mareali prodotte da Saturno e hanno atteso che il computer elaborasse la simulazione. «La parte quantitativamente più complessa della simulazione è calcolare le interazioni elastiche tra le diverse fessure e il livello d’acqua che varia al loro interno in risposta alla sollecitazione mareale», spiega Kite. La larghezza delle fessure influisce sulla velocità di risposta alle forze mareali: se la fessura è ampia, le eruzioni rispondono in tempi rapidi, mentre se la fessura è stretta, le eruzioni possono avvenire anche molte ore dopo il picco dell’attività mareale. Nella regione in cui le forze mareali trasformano il movimento dell’acqua in calore, generando energia sufficiente a produrre i getti osservati, c’è il punto più delicato del sistema. Secondo le simulazioni di Kite e Rubin, i dati raccolti da Cassini durante i fly-by di Encelado dell’anno scorso potranno testare questo modello, rivelando se lo strato esterno di ghiaccio nella regione polare si trovi alla temperatura prevista dalla teoria o meno. Kite e Douglas MacAyeal, professore di scienze geofisiche presso l’Università di Chicago, sono interessati a utilizzare questo modello per studiare un analogo terrestre dei geyser osservati su Encelado. Si è formata una crepa in una parte della barriera di Ross in Antartide, che sta creando la separazione di un intero blocco dal continente. «In quella crepa c’è un forte flusso mareale, perciò sarebbe interessante vedere come si comporta una lastra di ghiaccio in un ambiente analogo a quello di Encelado in termini di intensità delle sollecitazioni e temperatura del ghiaccio», conclude Kite.
di Elisa Nichelli (INAF)

Encelado vista da vicino

Sono le ultimissime immagini che la sonda Cassini, frutto della collaborazione tra la NASA, l’ESA e l’ASI, ha acquisito durante il suo ultimi fly by della luna di Saturno, Encelado. La sonda, lo scorso 28 ottobre, è passata appena 50 chilometri sopra la calotta polare di questa luna. Queste immagine, le prime delle diverse che la sonda ha iniziato a trasmettere, non sono processate, sono immagini RAW, grezze e ve le proponiamo in questa breve galleria. «Sono meravigliose le immagini di Cassini che ci forniscono un rapido sguardo di Encelado grazie a questo passaggio ultra-ravvicinato, ma la parte più emozionante, quella scientifica è ancora da venire», ha detto Linda Spilker, membro del team scientifico della missione di stanza al Jet Propulsion Laboratory della NASA. Infatti i ricercatori potranno presto iniziare a studiare i dati ottenuti con l’analizzatore di gas e il rivelatore di polvere a bordo della sonda Cassini. Gli strumenti hanno infatti potuto raccogliere dai geyser che si sprigionano su questa luna di Saturno, campioni di gas e di polvere ghiacciata. Per le analisi saranno necessarie diverse settimane, ma potrebbero fornire interessantissimi indizi sulla composizione dell’oceano di acqua sotto la superficie che caratterizzebbe l’intera luna Encelado, oltre a svelarci importanti dati sulle attività idrotermali che accadono sul fondo dell’oceano. Le aspettative sono tali che la luna Encelado è oggi un obiettivo primario per le future esplorazioni alla ricerca della vita nel nostro sistema solare. Il prossimo e ultimo flyby di Encelado da parte della sonda Cassini è fissato per il 19 dicembre, quando la sonda misurerà la quantità di calore proveniente dall’interno della luna da un’altitudine di circa 5000 chilometri.
Redazione Media Inaf

Cassini svela l’oceano di Encelado

Un team di ricercatori della Cornell University ha studiato in grande dettaglio l’oceano che si trova sotto la spessa crosta diEncelado, una delle lune ghiacciate di Saturno, misurando con precisione le piccole oscillazioni del satellite, rilevabili solo grazie alle immagini ad alta risoluzione scattate dalla sonda Cassini della NASA. Gli scienziati della Cornell hanno analizzato un archivio di oltre sette anni di immaginiraccolte da Cassini, la sonda spaziale in orbita intorno a Saturno dalla metà del 2004. «Questo tipo di studi è molto complesso e ha richiesto anni di osservazioni e calcoli, coinvolgendo una variegata collezione di discipline, ma siamo fiduciosi di aver raggiunto finalmente delle conclusioni solide», ha dichiarato Peter Thomas, ricercatore alla Cornell e autore principale dell’articolo apparso recentemente sulla rivista Icarus. Encelado è un corpo geologicamente molto attivo e sputa vapore acqueo a grandi velocità dalle fratture nella sua crosta ghiacciata, come ha potuto verificare Cassini sin dalle prime ore di esplorazione del sistema di Saturno. Tuttavia, fino a poco fa gli scienziati erano molto incerti sulla reale portata della fonte d’acqua nel sottosuolo. Con ogni singolo passaggio della sonda Cassini, e relativa raccolta di dati e immagini, Thomas e colleghi hanno faticosamente individuato e misurato le strutture topografiche presenti su Encelado, circa 5.800 in tutto. Grazie a questo studio accurato stata rivelata una leggera oscillazione del satellite (circa un decimo di grado). Nonostante si tratti di un piccolissimo movimento, chiamato librazione, è molto più grande di quanto apparirebbe se la crosta superficiale fosse solidamente legata al nucleo roccioso. Pertanto gli scienziati hanno potuto determinare che lo strato liquido che si trova sotto alla crosta del satellite deve essere molto più profondo di quanto si era potuto stimare in precedenza. «Se la superficie e il nucleo fossero rigidamente legati tra loro, il nucleo lo tratterrebbe a sé così intensamente che l’oscillazione sarebbe di gran lunga inferiore di quanto abbiamo osservato», ha dettoMatthew Tiscareno, che ha lasciato la Cornell in estate per trasferirsi al SETI Institute in California. «Questo dimostra che ci deve essere uno strato di liquido molto profondo a separare la superficie dal nucleo», ha spiegato. «Stiamo solo iniziando a capire quanto Encelado sia incredibilmente interessante», ha dichiarato Joe Burns, professore di Astronomia della Cornell. «Solo grazie ad una grande sonda spaziale come Cassini siamo riusciti ad effettuare misurazioni così dettagliate, e stiamo ottenendo risultati impensabili fino a 20 anni fa». Per Carolyn Porco, a capo del team di analisi delle immagini di Cassini presso lo Space Science Institute di Boulder in Colorado, questo lavoro illustra in maniera eccellente la complessità di questi studi e i diversi ambiti di indagine scientifica che coinvolgono: le misurazioni principali sono state contrassegnate manualmente; la geometria del satellite è stata stimata a partire da una conoscenza precisa della posizione della sonda, dal monitoraggio del segnale radio di Cassini e dalle immagini raccolte dalla sonda. «Questo è un passo enorme, incredibilmente oltre ciò che sapevamo finora di questo satellite, e dimostra il genere di studi approfonditi che siamo in grado di realizzare con missioni di lunga durata di sonde in orbita attorno ad altri pianeti», ha detto Porco. «Da questo punto di vista Cassini è un caso esemplare».
di Elisa Nichelli (INAF)

Pioggia a catinelle su Saturno

Veri e propri diluvi sconvolgono la superficie di Saturno ogni 30 anni. Si tratta di precipitazioni abbondanti che possono svilupparsi in latitudine abbracciando l’intero pianeta, regolate da un timer naturale che viene resettato da ogni evento eccezionale. In 140 anni di osservazioni telescopiche sono sei le tempeste che sono scoppiate sul Signore degli Anelli. L’ultima, a dicembre 2010, ha imperversato sull’emisfero settentrionale del pianeta per sei mesi fino all’agosto 2011. Oggi grazie ai dati raccolti dalla sonda Cassini gli scienziati possono proporre una spiegazione plausibile a questo strano fenomeno.

L’ipotesi che si fa strada è che il vapore acqueo più pesante di idrogeno e elio che abbondano nel cielo di Saturno resti per lunghi periodi intrappolato negli strati bassi dell’atmosfera, rallentando i naturali fenomeni di convezione che conducono alla formazione di ammassi di nuvole utili a creare nuove tempeste.
Quando smette di piovere l’atmosfera di Saturno è così umida e densa che le correnti ascensionali stentano a prendere forma per decenni. E’ necessario che gli strati superiori dell’atmosfera si raffreddino disperdendo il calore nello spazio prima che i vapori possano i naturali moti convettivi delle correnti di aria calda e umida che portano alla formazione di una perturbazione con precipitazioni anche importanti. E’ così che poi dopo trent’anni  piove tutta la pioggia arretrata. Il varco aperto dalla perturbazione innesca a catena sulla stessa latitudine una gigantesca tempesta che investe il pianeta imperversando per mesi.
Tratto da I diluvi di Saturno di Piero Stroppa pagina 13 (Orione giugno 2015numero 277)

Cassini si avvicina a Iperione, la luna spugnosa

Domenica 31 maggio avremo qualcosa da festeggiare, perché Cassini effettuerà l’ultimo flyby (passaggio ravvicinato) attorno alla luna di Saturno Iperione, l’irregolare satellite naturale di Saturno. Di recente la sonda, lanciata nel 1997 (ed entrata in orbita attorno a Saturno il primo luglio 2004), ha fotografato anche l’orizzonte della luna Rea.
Cassini (NASA/ESA/ASI) passerà sopra Iperione a una distanza di circa 34 mila chilometri alle 15:36 e il team di ricercatori alla guida della sonda spera di ricevere le prime immagini e dati tra le 24 e 48 ore successive. Cosa cercano gli esperti? Iperione è formato da diversi tipi di materiali superficiali, studiati in precedenti sorvoli e l’obiettivo è di classificarli e osservarli nel dettaglio. Iperione (270 chilometri di larghezza) è un corpo essenzialmente imprevedibile, la sua orbita (come la sua struttura) è irregolabile, caotica. Per questo l’ultimo flyby sarà – per così dire – alla cieca: è difficile individuare in anticipo un target verso cui dirigersi. Nei precedenti approcci Cassini, infatti, si è spesso imbattuto nella stessa faccia della luna (dalla superficie porosa, ruvida e decisamente atipica).
Una luna, almeno dall’aspetto, “spugnosa” a causa della sua densità insolitamente bassa, soprattutto se si pensa a un oggetto così grande (è il corpo irregolare più grande del sistema solare dopo Proteo – una luna di Nettuno). Questa densità (circa metà di quella dell’acqua) rende Iperione abbastanza poroso, con una debole gravità superficiale. Cosa vuol dire? Ogni oggetto che impatta con la superficie crea un profondo cratere e parte del materiale (non trovando resistenza gravitazionale) viene espulso dalla luna. Iperione presenta, inotre, un’albedo bassa (0,3), essendo ricoperto da uno strato di materiale piuttosto scuro.
L’immagine che vedete qui sopra risale al 2005 (presa da una distanza di 62 mila chilometri) e la risoluzione è 362 metri per pixel. Iperione appare piuttosto rossastra se vista in colori naturali: in questa immagine in falsi colori, però, il colore rosso è stato attenuato, mentre gli altri colori sono stati enfatizzati, in modo da rendere più evidenti le sottili variazioni di colore sulla superficie.
Il successivo flyby di Cassini è previsto per il 16 giugno, quando la sonda passerà 516 chilometri sopra la luna di ghiaccio Dione e si tratterà del penultimo passaggio ravvicinato della missione per quella luna. A ottobre Cassini volerà ancora due volte attorno alla luna Encelado per studiarne i potenti getti di ghiaccio, avvicinandosi fino a 48 chilometri nel passaggio finale. Cassini partirà dal piano equatoriale di Saturno (da dove le lune sono più visibili) a fine 2015 per iniziare un anno di preparazione tecnica al gran finale: gettarsi – letteralmente – tra gli anelli di Saturno per gli studi finali.
di Eleonora Ferroni (INAF)

Crateri a perdita d’occhio su Rea, la luna ghiacciata di Saturno

Continuano ad arrivare i dati inviati dalla sonda NASA/ESA/ASI Cassini relativi a Rea, il secondo satellite naturale di Saturno e il nono del Sistema solare, di cui abbiamo parlato su Media INAF già qualche mese fa. Di recente la sonda, lanciata nel 1997 (ed entrata in orbita attorno a Saturno il primo luglio 2004), ha fotografato l’orizzonte della luna Rea: dall’immagine qui a fianco si evince che il profilo è leggermente irregolare e decisamente ammaccato, visti gli innumerevoli crateri sulla superficie dell’oggetto ghiacciato (1527 chilometri in larghezza). Il satellite naturale del sesto pianeta del Sistema solare, infatti, è stato scolpito da diverse collisioni, la cui storia è scritta proprio in questi crateri che non vengono disturbati da erosioni, vulcani o movimenti tellurici (come accadrebbe sulla Terra) proprio perché Rea è un oggetto relativamente “tranquillo”. La regione illuminata che si vede nella foto è l’emisfero “finale” di Rea, vale a dire quello che si trova dalla parte opposta rispetto alla direzione dell’orbita. Questa luna di Saturno è prevalentemente composta da ghiaccio d’acqua. Un emisfero è brillante ed è qui che c’è la maggior parte dei crateri (il cui diametro – in alcuni casi – può anche superare i 40 chilometri), mentre l’altro è costituito da una serie di strisce chiare su fondo scuro.

Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Qualche dettaglio sull’immagine: il Nord su Rea è in alto e ruotato di 12 gradi verso destra e l’immagine è stata scattata dalla narrow-angle camera (NAC) in luce visibile lo scorso 10 febbraio 2015 durante l’ultimo flyby da una distanza di circa 56mila chilometri. Da qualche mese, infatti, la sonda è tornata ad orbitare attorno al piano equatoriale di Saturno e dopo due anni può di nuovo osservare e studiare le lune: prima Cassini volava in prossimità dei poli di Saturno con un’orbita molto inclinata, denominata Rev 213 al centro di controllo della missione.
di Eleonora Ferroni (INAF)

I riccioli di Encelado

Le strutture lunghe, sinuose e ricciolute fotografate nelle vicinanze della luna di Saturno Encelado, proverrebbero direttamente dai geyser in eruzione sulla superficie di questo satellite ghiacciato. È questo il parere del team di scienziati al lavoro sulle immagini raccolte dalla sonda NASA Cassini – i primi risultati degli studi sono appena stati pubblicati su The Astronomical Journal.

Crediti: NASA / JPL-Caltech / SSI.

«Ciascuna di quelle irregolari protuberanze è chiaramente riconducibile a gruppi di geyser individuati sulla superficie di Encelado», spiega Colin Mitchell, dello Space Science Institute di Boulder, Colorado, e primo firmatario dell’articolo. «Con le simulazioni al computer abbiamo potuto ricostruire le traiettorie del ghiaccio espulsa da ogni singola eruzione». In particolari condizioni di luce il ghiaccio estruso dalla luna ghiacciata viene illuminato e si mostra in tutta la sua maestosità nelle immagini raccolte da Cassini. Un riccio di polvere e ghiaccio che si estende nello spazio per decine di migliaia di chilometri. Tanto da spingere gli scienziati a immaginare che sia Encelado stessa, con i suoi geyser ad alimentare la porzione di anello che la lambisce. Ipotesi che verrebbe confermata dalla dimensione dei frammenti che compongono l’anello E di Saturno, congruenti ai granuli di ghiaccio che compongono i geyser. «L’aspetto di queste strutture sinuose cambia nel tempo. È chiaro che alcune caratteristiche scompaiano da un’immagine all’altra, si tratta di materiale in movimento», spiega John Weiss della Saint Martin’s University di Lacey. Con tutta probabilità si tratta di un altro degli effetti dovuti all’azione mareale esercita da Saturno sulla luna, e di conseguenza sul materiale in sospensione.
di Davide Coero Borga (INAF)

Saturno: è diluvio universale

Fenomeni meteorologici di vaste proporzioni, veri e propri diluvi da Antico Testamento, sconvolgono la superficie di Saturno ogni 30 anni. Si tratta di precipitazioni abbondanti che possono svilupparsi in latitudine abbracciando l’intero pianeta, regolate da un timer naturale che viene resettato da ogni evento eccezionale. In 140 anni di osservazioni telescopiche sono sei le tempeste che sono scoppiate sul Signore degli anelli. L’ultima a dicembre 2010, ha imperversato sull’emisfero settentrionale del pianeta per sei mesi, fino all’agosto 2011. Ogni 30 anni, puntuale come un orologio svizzero, ecco risorgere una potente tempesta. Oggi, grazie ai dati raccolti dalla sonda NASA Cassini (vedi MediaINAF), gli scienziati possono finalmente proporre una spiegazione plausibile a questo strano fenomeno. In un articolo appena pubblicato su Nature Geoscience l’ipotesi che si fa strada è che il vapore acqueo, più pesante di idrogeno ed elio che abbondano nel cielo di Saturno, resti per lunghi periodi intrappolato negli strati bassi dell’atmosfera, rallentando i naturali fenomeni di convezione che conducono alla formazione di ammassi di nuvole utili a creare nuove tempeste. «Quando smette di piovere, l’atmosfera di Saturno è così umida e densa, che le correnti ascensionali stentano a prendere forma, per decenni», spiega Cheng Li del California Institute of Technology, a Pasadena. «È necessario che gli strati superiori dell’atmosfera si raffreddino disperdendo il calore nello spazio, prima che i vapori possano innescare i naturali moti convettivi delle correnti di aria calda e umida che portano alla formazione di una perturbazione con precipitazioni, anche importanti». È così che, poi, dopo 30 anni, piove tutta la pioggia “arretrata”. Il varco aperto dalla perturbazione innesca a catena sulla stessa latitudine (come si vede bene nelle immagini raccolte da Cassini) una gigantesca tempesta che investe il pianeta imperversando mesi e mesi. Il che suggerisce che l’atmosfera profonda di Saturno debba contenere tanta più acqua di quella che abbiamo immaginato costituire atmosfere di altri giganti gassosi, come Giove. Se il cielo di Saturno fosse più “asciutto”, piccole tempeste e perturbazioni ridotte dovrebbero avere luogo in grande frequenza. Qui, al contrario, ci troviamo di fronte a fenomeni episodici e devastanti. Osservazioni da terra e dati raccolti dai telescopi spaziali sembrano avvallare l’ipotesi di un Saturno molto “bagnato”. «Studi basati sulla spettroscopia hanno già dimostrato come l’atmosfera di Saturno sia ricca di metano e altre sostanze volatili, con concentrazioni anche due o tre volte maggiori rispetto a Giove. Non ci sarebbe da stupirsi se Saturno fosse anche ricco di ossigeno, e quindi di acqua», taglia corto Andrew Ingersoll, membro del team scientifico Cassini.
di Davide Coero Borga (INAF)

Il giorno di Saturno (10 ore, 32 minuti e 44 secondi)

Quanto dura un giorno su Saturno? Un po’ meno di 11 ore, questo è sicuro. Ma agli scienziati, si sa, non piace accontentarsi di informazioni così approssimative e da anni, studiando il pianeta degli anelli, cercano di ottenere misure accurate del suo periodo di rotazione. Una informazione tutt’altro che marginale o di pura curiosità: conoscere con precisione questo valore può aiutarli a capire meglio altri aspetti del pianeta, come la sua struttura e composizione interna. Il compito però è alquanto difficile perché Saturno è un pianeta gassoso che non possiede strutture solide individuabili, al contrario della Terra o Marte, per esempio, che possono essere prese come facile riferimento per cronometrare in quanto tempo il corpo celeste compie una rotazione completa attorno al suo asse.
Ora però un nuovo metodo per determinare il periodo di rotazione di Saturno arriva dalle pagine dell’ultimo numero di Nature. A metterlo a punto, un gruppo di ricercatori guidato da Ravit Helled, dell’Università di Tel Aviv. La nuova tecnica, che si basa sulle misure del campo gravitazionale di Saturno e delle sue differenti configurazioni lungo gli assi nord-sud ed est-ovest, ha permesso di ricavare che un giorno di Saturno dura 10 ore, 32 minuti e 44 secondi.
«Negli ultimi venti anni, il periodo di rotazione standard di Saturno comunemente accettato è stato quello misurata dal Voyager 2 negli anni ’80 del secolo scorso: 10 ore e 39 minuti, e 22 secondi», spiega Helled. «Ma quando la sonda Cassini è arrivata a Saturno 30 anni dopo, il periodo di rotazione calcolato dalle sue osservazioni è salito di otto minuti. Abbiamo capito così che questo valore non poteva essere dedotto dalle misure delle fluttuazioni di intensità delle onde radio associate al campo magnetico di Saturno, e dunque rimaneva di fatto sconosciuto. Ovviamente, negli ultimi anni, ci sono stati diversi tentativi teorici per trovare una risposta a questo enigma. Noi proponiamo la nostra, che si basa sulla forma e il campo gravitazionale del pianeta. Osservandone le proprietà  globali, abbiamo determinato così il periodo di rotazione».
Il metodo proposto si basa su processi di ottimizzazione statistica che hanno coinvolto diverse soluzioni. Innanzitutto, queste soluzioni dovevano essere in grado di riprodurre nel modo più accurato possibile le proprietà osservative di Saturno, in particolare la sua massa e il suo campo gravitazionale. Le migliori tra quelle ottenute sono state infine utilizzate per ricavare il periodo di rotazione. Come verifica, il team ha applicato il metodo per calcolare il periodo di rotazione di Giove, ottenendo risultati in ottimo accordo con quelli ottenuti con altre tecniche, noti con precisione. Il prossimo passo è quello di estendere questo metodo ad altri pianeti gassosi del Sistema solare, come Urano e Nettuno. E magari anche oltre, fino a pianeti gassosi in orbita attorno ad altre stelle.
di Marco Galliani (INAF)

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