Nascono stelle a un passo dal buco nero

Due anni luce, ovvero 19.000 miliardi di chilometri. Una distanza davvero notevole per noi, ma che diventa quasi un’inezia parlando di quella che separa il buco nero supermassiccio nel centro della nostra Galassia dalle nubi di gas e polveri dove starebbero formandosi nuove stelle, scoperte grazie alle osservazioni del telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter-submillimeter Array) in una regione dove gli astronomi proprio non si aspettavano di trovarle. A quella distanza dal buco nero infatti le forze mareali sarebbero ancora così intense da impedire l’aggregazione di materia in nubi e quindi impedire la loro condensazione per generare nuovi astri. Eppure, in quella che dovrebbe essere una sorta di ‘terra di nessuno’, ALMA ha scorto le tracce di getti di materia emessi da densi agglomerati di polveri e gas. Una vera sorpresa per il team che ha analizzato i dati: se questi segnali fossero giunti da regioni della Via Lattea più distanti dal buco nero, non ci sarebbero stati dubbi nell’interpretarli come il chiaro indizio dei primi ‘vagiti’ di una stella appena formatasi. “È davvero difficile pensare che possano formarsi stelle in vicinanza di un buco nero supermassiccio” dice Farhad Yousef-Zadeh, ricercatore presso la Northwestern University di Evanston, Illinois, primo autore dell’articolo sulla scoperta, in pubblicazione su Astrophysical Journal Letters. “Questo perché la forza di attrazione gravitazionale del buco nero produce effetti estremi che potrebbero stirare e disgregare le nubi molecolari, impedendo loro di accumulare una quantità di massa sufficiente a innescare la formazione di nuove stelle. Ma quello che abbiamo osservato sono zone dove le polveri e il gas sono diventati così densi da prevalere sul loro inospitale ambiente circostante”. I ricercatori ritengono che queste nubi molecolari siano diventate così massicce e dense in seguito a collisioni che hanno permesso loro di superare la soglia critica in cui la forza di gravità al loro interno diventa predominante e innesca una catena di eventi che si conclude con la formazione di nuove stelle. E uno dei segnali che testimonia l’imminente completamento di questo processo è proprio l’emissione di getti di materia, esattamente come quelli individuati dalle osservazioni di ALMA. Gli astronomi sono stati in grado di rilevare questi getti caratteristici del materiale tracciando la presenza della molecola di monossido di silicio (SiO), che è relativamente abbondante nelle nubi molecolari e che emette radiazione anche nella banda delle microonde dove ALMA, con la sua sterminata batteria di antenne, è stato progettato per dare il suo meglio.
di Marco Galliani (INAF)

Brutta fine in vista per la nube G2

Un banchetto con i fiocchi, quello che si prepara per il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. Che pare sul punto di inizare a mangiarsi una misteriosa nube di gas e polveri nei suoi paraggi, intravista dagli astronomi per la prima volta nel 2002, e studiata in maggior dettaglio solo quest’anno. Ora, una simulazione al computer preparate da tre giovani ricercatori dell’Università della South Carolina prova a mostrarci che cosa succederà quando quella nube (chiamata G2) arriverà tanto vicina al buco nero che questo inizierà a “mangiarla”. In breve, G2 sopravviverà in parte, ma con una forma diversa e un futuro incerto.
Dietro alla ricerca ci sono il fisico Peter Anninos e gli astrofisici Stephen Murray e Chris Fragile, la studentessa di quest’ultimo Julia Wilson. Usando un supercomputer da 3000 processori, 50 mila ore di tempo di computazione e il codice Cosmos++ sviluppato dagli stessi Anninos e Fragile, i ricercatori hanno condotto otto diversi scenari di simulazione in 3D, usando tutti i dati a disposizione sui due oggetti. Il buco nero, noto come Sgr A* (Sgr sta per “Sagittario”, la zona del cielo in cui è visibile guardandolo dalla Terra) è relativamente ben noto, e ha una massa di circa 3-4 milioni di volte il nostro Sole. Su G2 sappiamo molto poco. La polvere al suo interrno sembra avere una temperatura di circa 550 gradi. Il gas invece, per lo più idrogeno, arriva a 10,000 gradi Kelvin. La sua origine è ancora sconosciuta. Spiega Murray che “potrebbe essere una vecchia stella che ha perso la sua atmosfera esterna, o qualcosa che ha tentato di diventare un pianeta ma non ci è riuscito”.
Fatto sta che a partire dal prossimo settembre si avvicinerà troppo al buco nero, e inizierà a riscaldarsi a temperature altissime, diventando visibile in raggi X e onde radio. La nube però non raggiungerà il punto di non ritorno, oltre il quale un oggetto non può più sfuggire all’attrazione gravitazionale del buco nero. Ciò non vuol dire che uscirà indenne dall’incontro. “La maggior parte della sua energia cinetica e del suo momento angolare verrà dissipata, e si frantumerò in una struttura incoerente. Per lo più si unirà al disco di accrescimento attorno al buco nero, o ne verrà catturata. Diventerà così diffusa che difficilmente il gas potrà mantenere la sua traiettoria orbitale”.
L’intero evento dovrebbe consumarsi in meno di un decennio.
di Nucola Nosengo (INAF)

Una nuvola intorno a Sagittarius A

Mettendo insieme una serie di osservazioni condotte nell’arco di diversi anni, la sonda Chandra della NASA ha raccolto diverse evidenze riguardo alcuni “lampi X” dall’oggetto Sagittarius A, il buco nero supermassivo che abita il centro della nostra Via Lattea. I lampi sono stati anche rilevati dal Very Large Telescope dell’ESO, in Cile.
Un recente studio fornisce una interessante spiegazione per questi misteriosi lampi. Il suggerimento è che esista una nuvola intorno a Sagittarius A, contenente la bellezza di centinaia di migliaia di miliardi tra asteroidi e comete, che sarebbero stati strappati dalle loro stelle di origine. Nella figura qui sotto (cliccare per vederla in formato più grande), il pannello di sinistra rappresenta una immagine ottenuta tramite circa un milione di secondi di osservazione di Chandra nella regione intorno al buco nero: in rosso i raggi X di energia più bassa, verdi i raggi X di energia media e in blu i più “duri”.
Un asteroide che subisce un incontro ravvicinato con un altro oggetto, tipo stella o pianeta, può finire in una orbita intorno a Sagittarius A, come mostrato in una serie di illustrazioni artistiche sulla destra dell’immagine. Se capita poi che (lo sventurato) l’asteroide passi a circa 160 milioni di chilometri dal buco nero, la sua sorte probabile è di essere ridotto a bricioline dalle forze mareali che agiscono per la presenza del buco nero.
I frammenti poi sarebbero vaporizzati per frizione quando passano attraverso il gas caldo che viaggia verso il buco nero. Il loro destino è ormai segnato: rimane solo la possibilità di un ultimo “lampo” quando i frammenti sono ingeriti dal buco nero: ecco dunque la probabile spiegazione dei lampi X.
Si può condurre una interessante similitudine, a riprova che fenomeni simili avvengono anche su scale molto diverse. Consideriamo che una volta ogni tre giorni circa, scompare una cometa perché viene “digerita” dal nostro Sole … nonostante le differenze significative tra i due ambienti (il buco nero supermassivo è grande circa 3,7 milioni di volte il Sole!), il tasso di distruzione di comete ed asteroidi da parte della nostra stella e di Sagittarius A, sembra sorprendentemente simile …!
Chandra Press Release
Vedi articolo: Trilioni di asteroidi e comete intorno al buco nero della Via Lattea dell’8 febbraio 2012

Pianeti dove non vorremmo vivere

A fare l’ingordo, questa volta, è il buco nero supermassiccio – nome di battaglia Sagittarius A*, Sgr A* per gli amici – al centro della nostra galassia; la vicenda dunque assume un contorno molto inquietante. Ancor più se, a rischiare di finir tra le sue fauci, non è la solita incauta stellina o un’informe nube di gas, bensì un disco protoplanetario. Insomma, qualcosa di fastidiosamente vicino e simile a noi e al nostro angolo d’universo. Non ancora un sistema solare bell’e formato con tutti i suoi bravi pianeti, d’accordo, ma potenzialmente di questo si tratta. A formulare la suggestiva ipotesi, in un articolo ancora in attesa di passare al vaglio della comunità scientifica, ma già ripreso da Scientific American nel blog di John Matson due astronomi del CfA, lo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics: Ruth Murray-Clay e Abraham Loeb. L’articolo prende spunto dalla recente scoperta d’una non meglio definita nube in viaggio, appunto, verso Sgr A*. Ne abbiamo parlato qualche giorno fa anche qui su Media INAF, di quella nube, in una news intitolata “Fast Food”. “Analizzando i dati a disposizione e assumendo per quelli mancanti – in particolare, la massa e l’età dell’ipotetica stella in rotta di collisione con il buco nero – i valori suggeriti dai modelli, Murray-Clay e Loeb sono giunti a concludere che la temeraria nube, il cui incontro con il buco nero è previsto per l’estate 2013, potrebbe in realtà benissimo «provenire dal disco protoplanetario», scrivono, «che circonda una stella di piccola massa deragliata, circa un secolo fa, dall’anello di giovani stelle che si osservano in orbita attorno a Sgr A*». L’ipotesi è interessante non tanto per l’empatia che comprensibilmente può suscitare l’infausto destino di questo amalgama di pianeti in formazione, quanto perché se confermata – scrivono i due astronomi – comporterebbe almeno due conseguenze. Anzitutto, mostrerebbe che è possibile inferire l’esistenza di stelle di massa ridotta, altrimenti troppo deboli da individuare, tramite l’osservazione dei detriti strappati ai dischi proto-planetari dalla forza di marea gravitazionale esercitata dai buchi neri. Inoltre, implicherebbe che anche là nel cuore della Via Lattea, attorno al gigantesco buco nero centrale, possono formarsi pianeti.
di Marco Malaspina (INAF)

Il risveglio dei buchi neri: quale sarà il futuro di Sagittarius A*?

Dopo l’ultima, grande abbuffata di gas e materia, il gigante s’è quietato. Ma si risveglierà. Non sappiamo quando accadrà e in che modo, ma è certo che, non appena finirà il periodo letargico, Sagittarius A* – il buco nero supermassivo al centro della Via Lattea – sarà molto affamato. E ricomincerà a divorare tutto ciò che lo circonda. “Nessun pericolo per la Terra, è troppo lontano da noi”, assicura Tomaso Belloni, astronomo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera. Per chi abita da quelle parti, però, non sarà affatto piacevole.
Gli scienziati che studiano i buchi neri massicci sono molto interessati a capire le dinamiche per cui i buchi neri s’attivano e si spengono. Per motivi non ancora chiari, questi mostri cosmici al centro delle galassie mostrano un ventaglio di attività, che varia dallo stato letargico all’iperattività degli AGN (nuclei galattici attivi). Ora grazie a una vastissima indagine del telescopio Chandra della Nasa, gli scienziati sanno qualcosa in più di come si comportano i buchi neri, e in particolare di quale sarà il futuro del mostro al centro del nostra galassia.
Lo studio, apparso su Astrophysical Journal, ha analizzato nell’ottico e nei raggi X le immagini di circa 100 mila galassie di dimensioni simili alla Via Lattea, nell’Universo vicino. “Abbiamo scoperto che solo circa l’uno per cento di galassie con masse simili alla Via Lattea contengono buchi neri nella loro fase più attiva”, ha detto Daryl Haggard dell’Università di Washington, a Seattle.
“Analizzare quanti buchi neri sono attivi in ogni momento è importante per comprendere come i buchi neri crescono all’interno delle galassie e in che modo la loro crescita è influenzata e influenza l’ambiente circostante”, aggiunge Belloni.
Oltre alla conferma della sorprendente correlazione tra la massa dei buchi neri giganti e la massa delle regioni centrali della galassia che li ospita, dallo studio è emerso un dato significativo: più si va indietro nel tempo, studiando le galassie più lontane, più aumenta la frazione di buchi neri attivi, o AGN. “In altre parole – interviene Belloni – questo indica che con il passare del tempo è diminuita la probabilità che un buco nero si risvegli e aumentano statisticamente i periodi d’inattività”, spiega Belloni. Questo implica che la fornitura di combustibile o il meccanismo di rifornimento per i buchi neri si modifica con il tempo.
Possiamo prevedere allora cosa succederò al nostro buco nero più grande, Sgr A *? “Salvo poche eccezioni, questo buco nero, come la maggior parte dei buchi neri più piccoli che osserviamo nella nostra galassia, è al momento inappetente, se non proprio a digiuno, per usare una metafora”, dice l’astronomo INAF. “In base alle stime effettuate da Chandra, possiamo stimare che si abbufferà ancora per un periodo pari a circa l’1% della durata di vita residua del Sole, pari a circa 5 miliardi di anni. Quando tornerà attivo, sarà circa un miliardo di volte più brillante nei raggi X”.
Fonte INAF

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