Il risveglio di Sagittarius A*

Dopo 15 anni di osservazioni, tre telescopi spaziali hanno rivelato un incremento dell’emissione di raggi X sotto forma dibrillamenti dal quieto, come è di solito, buco nero supermassiccio che risiede nel nucleo della Via Lattea. Gli scienziati stanno tentando di capire se si tratta di un comportamento “ordinario”, che non è stato rivelato prima a causa della mancanza di dati, o se, invece, questi brillamenti sono dovuti al recente passaggio ravvicinato di un misterioso oggetto composto di gas e polvere. I risultati di questo studio sono riportati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Dopo un lungo periodo di osservazioni, gli astronomi hanno potuto monitorare l’attività di Sagittarius A* (Sgr A*), grazie a tutta una serie di dati che sono stati raccolti dall’osservatorio spaziale Chandra, dal satellite XMM-Newton e dal satellite Swift. Sgr A* “pesa” poco più di 4 milioni di masse solari e i raggi X sono prodotti dal gas caldo che precipita verso il buco nero. Gli autori hanno analizzato i dati di 150 osservazioni che sono state eseguite, in particolare, da Chandra e XMM-Newton dal Settembre 1999 al Novembre 2014. I risultati suggeriscono un incremento della frequenza e luminosità dei brillamenti avvenuto subito dopo la metà del 2014, cioè alcuni mesi dopo il passaggio ravvicinato di un oggetto, molto probabilmente una nube di gas e polvere, denominato G2Le osservazioni indicano che Sgr A* sta producendo un brillamento X ogni 10 giorni. Ad ogni modo, nel corso dell’ultimo anno, c’è stato un incremento di 10 volte nel tasso di produzione dei brillamenti, circa uno al giorno. «Abbiamo monitorato per diversi anni l’emissione X di Sagittarius A*, tra cui il passaggio ravvicinato di G2», spiega Gabriele Ponti del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics in Germania e autore principale dello studio. «Circa un anno fa, pensavamo che questo oggetto non avesse alcun effetto su Sgr A* ma i nostri dati più recenti suggeriscono la possibilità che non sia così». Inizialmente, gli astronomi hanno ritenuto che G2 fosse una nube estesa di gas e polvere, così come è stato affermato più recentemente in un altro studio di alcuni ricercatori del Max Planck (vedasi l’articolo Si riapre il ‘caso G2’). Dopo il passaggio ravvicinato con Sgr A*, verso la fine del 2013, la sua apparenza non è cambiata molto, tranne per il fatto che l’oggetto è stato “allungato” dalla gravità esercitata dal buco nero. Da qui sono emerse delle teorie secondo cui G2 non è semplicemente una nube di gas, piuttosto si tratta di una stella avvolta in una sorta dibozzolo polveroso” esteso (vedasi l’articolo Risolto il mistero di G2 in cui uno studio americano sostiene invece che si tratti di una stella). «Non c’è un accordo comune su che cosa sia in definitva G2», diceMark Morris della University of California a Los Angeles e co-autore dello studio. «Tuttavia, il fatto che Sgr A* è diventato più attivo subito dopo il passaggio di G2 suggerisce che la materia che si è separata da questo oggetto può aver causato un aumento del tasso di rifornimento di altro materiale a favore del buco nero». Mentre il passaggio di G2 e l’aumento di raggi X da parte di Sgr A* è alquanto intrigante, gli astronomi osservano altri buchi neri che sembrano comportarsi in maniera simile al buco nero della Via Lattea. Dunque, è possibile che questo incremento di attività da parte di Sgr A* possa essere una caratteristica generale dei buchi neri e perciò non necessariamente correlata con il passaggio di G2. Ad esempio, l’aumento dell’attività X potrebbe essere dovuta ad una variazione dell’intensità dei venti stellari provenienti dalle vicine stelle massive che stanno alimentando il buco nero. «È ancora troppo presto per esserne sicuri, ma durante i prossimi mesi terremo un occhio attento all’emissione X da parte di Sgr A*», dice Barbara De Marco del Max Planck Institute e co-autrice dello studio. «Speriamo che ulteriori osservazioni ci diranno alla fine se G2 sarà davvero il responsabile dell’attività di Sgr A* o se, invece, essa sia parte di un comportamento tipico del buco nero». Insomma, se la spiegazione di G2 è corretta, l’incremento della luminosità dei brillamenti X potrebbe essere il primo segnale legato all’eccesso di materia che si è staccato dalla nube a causa del suo passaggio ravvicinato e ora sta cadendo verso il buco nero essendo catturato dalla sua enorme forza gravitazionale. A questo punto, esso potrebbe aver già iniziato ad interagire con il materiale caldo che a sua volta sta precipitando verso Sgr A*, alimentandolo sempre più di gas che alla fine sarà consumato dal buco nero.
di Corrado Ruscica (INAF)

Un fuoco d’artificio da Sag A*

Il 2014 doveva essere un anno di fuochi d’artificio dal centro galattico o, meglio, dal buco nero supermassivo che, con oltre 4 milioni di masse solari, domina il centro della nostra Via Lattea. Dal momento che si trova nella costellazione del Sagittario, gli astronomi lo chiamano Sag A*. I fuochi d’artificio avrebbero dovuto essere causati dal passaggio troppo vicino al buco nero di una nube, dal prosaico nome di G2, che, nel 2011, era stata scoperta orbitare intorno a Sag A*. Le caratteristiche dell’orbita erano tali che non ci si aspettava che G2 sopravvivesse al passaggio al perigeo, previsto tra marzo e aprile 2014, e si immaginava che venisse fatta a pezzi dal campo gravitazionale del buco nero. A seguito della distruzione della nube G2, i brandelli di materia avrebbero dovuto essere convogliati nel disco di accrescimento del buco nero che, avendo più materia a disposizione, avrebbe dovuto diventare più luminoso. Vedere lo spuntino di un buco nero in tempo reale non è un’opportunità che si presenti tutti i giorni e l’intera comunità astronomica, utilizzando strumenti a terra e nello spazio, ha tenuto sotto controllo con grande interesse e trepidazione il centro galattico a tutte le lunghezze d’onda. Il satellite Fermi, solo per fare un esempio, ha cambiato modo di copertura del cielo per dedicare il maggior tempo possibile al centro galattico, nella speranza di rivelare qualcosa di veramente eccezionale in raggi gamma. Invece il passaggio al perigeo è passato senza che nulla di notevole succedesse. Forse G2 non è stata distrutta o forse non si trattava di una nube… entrambe le ipotesi hanno la loro tifoseria. In verità, la rinnovata attenzione verso il centro galattico ha prodotto un risultato davvero interessante, ma non è per niente evidente che sia in qualche modo collegato con la famosa G2. Per apprezzare il risultato, presentato alla riunione della AAS in corso a Seattle, bisogna premettere che, contrariamente a quanto sarebbe ragionevole aspettarsi, Sag A* è una sorgente piuttosto debole di raggi X. Il buco nero nel centro della nostra galassia è notoriamente pigro e solo saltuariamente si fa notare con dei brevi episodi di emissione più brillante del solito. Invece, nel settembre 2013 il satellite per raggi X Chandra ha rivelato che Sag A* era ben 400 volte più brillante del normale. Peccato che G2 fosse ancora ben lontana dal punto di maggiore avvicinamento e che quindi sarebbe difficile pensarla responsabile dell’episodio. L’emissione X ha avuto un altro botto nell’ottobre 2014, facendo registrare un aumento di circa 200 volte rispetto al livello normale. In questo caso, forse, G2 avrebbe potuto essere chiamata in causa perché l’accrezione di una nube fatta a pezzi potrebbe anche essere un processo spalmato su qualche mese. Tuttavia il legame causale tra il passaggio di G2 e i mega flare rivelati da Chandra è deboluccio e si preferisce investigare altri possibili scenari. Da un lato si è pensato al passaggio ravvicinato di un grosso asteroide che, dopo essere stato distrutto dall’attrazione gravitazionale del buco nero, ha fornito materia per alimentare l’accrezione su Sag A* che, grazie al surplus alimentare, è diventato molto più brillante. Dal momento che Swift ha visto le conseguenza della distruzione di una stella da parte di un buco nero supermassivo, questa proposta è meno inverosimile di quanto potrebbe sembrare. Si parla di un grosso asteroide, piuttosto che di una stella, a causa delle durata limitata del flare. Una stella avrebbe fornito molto più carburante e il flare avrebbe dovuto durare molto più a lungo. Altra possibilità, meno catastrofica, è basata sulla riconnessione magnetica, lo stesso fenomeno che causa i brillamenti X del nostro sole. In questo caso l’energia è liberata dal campo magnetico che permea la materia che ruota nel disco di accrescimento. Non è evidente quale sia la causa della riconnessione magnetica, ma certamente il fenomeno esiste. Quale sarà la spiegazione corretta? Di sicuro, cercando le prove della distruzione (presunta) di G2 si è trovato qualcosa di interessante. E’ un bell’esempio di scienza serendipitous: cerchi una cosa e ne trovi un’altra, o forse è proprio quello che stavi cercando, ma il nesso causale è sfuggente.
di Patrizia Caraveo (INAF)

Risolto il mistero di G2: non è una nube ma una stella

G2 è uno degli oggetti più studiati della Via Lattea ma da sempre è stato avvolto da un alone di mistero che ha affascinato gli astronomi di tutto il mondo. Negli ultimi anni l’arcano è ruotato su due interrogativi: è una stella o una nube di gas? Verrà distrutta dal buco nero della nostra galassia? Intravista dagli astronomi nel 2002 ma studiata per la prima volta solo dal 2011 da Stefan Gillessen (un astronomo del Max-Planck-Institut per la fisica extraterreste), si è sempre pensato che fosse una fredda e grande nube di polvere e gas (idrogeno) in veloce e drammatico avvicinamento verso il buco nero della Via Lattea, Sagittarius A* . Da tempo, però, gli astronomi dubitavano su questa teoria, pensando, invece, che al centro di questa nube ci fosse una grande stella. Ma come si è formata? Da dove viene? Il mistero è stato risolto da un gruppo di ricercatori dell’UCLA che hanno usato  i grandi telescopi del W.M. Keck Observatory alle Hawaii. Gli ultimi dati sono stati raccolti durante il massimo avvicinamento di G2 al buco nero supermassiccio, avvenuto questa estate (l’oggetto segue un’orbita ellittica di 300 anni, decisamente eccentrica) e che ha deluso amatori ed esperti che speravano di assistere a uno spettacolo pirotecnico nei pressi di Sgr A*. Qualche mese fa Andrea Ghez, ricercatrice a capo del team, aveva detto: «Se è una nube di polvere, non si vedrà nulla; se è una stella, allora sì». E’ stato proprio così: le ottiche adattive dei telescopi Keck non sono passate attraverso la nube ma si sono “scontrate” con una stella. Dopo diverse notti passate col naso all’insù ad osservare in direzione di Sgr A* (che ha una massa stimata di 4 milioni di volte il Sole), i ricercatori hanno potuto adesso affermare che G2 non era il destinato pasto per il nostro buco nero, bensì un oggetto che gli orbita attorno. Nel paper “Detection of galactic center source G2 at 3.8 μm during periapse passage”, pubblicato sul numero di novembre della rivista Astrophysical Journal Letters, Ghez, la quale ha studiato migliaia di stelle S attorno a Sgr A*, ha ipotizzato che G2 fosse in passato un sistema stellare binario e che, a causa della potente forza di gravità del buco nero, si sia fuso “di recente” in una sola grande stella. In precedenti studi Ghez e il suo team avevano già osservato che nella nostra galassia le stelle massicce provengono principalmente da sistemi binari e che, cadendo nel centro galattico, vengono poi divise o si fondono in un’unica grande stella. «E’ ciò che rende questo scenario così attraente. Senza il buco nero, il sistema stellare binario sarebbe sopravvissuto sotto forma di due stelle», ha detto a Media INAF la ricercatrice statunitense. Durante il massimo avvicinamento, la stella G2 ha subito solo un’abrasione allo stato esterno. Il fenomeno è stato visibile proprio perché si tratta di una stella e non di una semplice nube di gas e polvere, che sarebbe stata, altrimenti, letteralmente “ingoiata” dal buco nero. «Stiamo osservando un fenomeno attorno a un buco nero che non può essere visto altrove nell’Universo», ha aggiunto la Ghez. «Cominciamo solo adesso a capire la fisica dei buchi neri in un modo che non era stato possibile in passato».  Ha spiegato: «Il fulcro dell’osservazione è che G2 è sopravvissuta al massimo avvicinamento con il buco nero. Sono due i modi con cui è stato rilevato l’oggetto: prendendo in considerazione il gas, che sembra essere riscaldato esternamente dalle stelle vicine, e poi la polvere, che sembra, invece, essere riscaldata internamente, cioè da una stella centrale che fornisce il calore tramite le sue radiazioni». «La luminosità della stella – continua la ricercatrice – indicherebbe che si tratti di un oggetto 2 volte la massa del Sole, ma, per altre caratteristiche, in realtà sembra essere molto più grande di una tipica stella confermando di essere frutto della fusione tra due stelle di un sistema binario». Quando due stelle vicino al buco nero si fondono in una sola, la stella si espande per più di 1 milione di anni prima di assestarsi, ha spiegato Ghez: «Questo può accadere più spesso di quanto pensiamo. Le stelle al centro della galassia sono enormi e perlopiù sistemi binari ed è possibile che molte delle stelle che abbiamo osservato negli ultimi anni siano il prodotto finale di fusioni». G2, ancora nella sua fase intermedia di fusione, è stato un oggetto che ha a lungo affascinato gli scienziati. «Il suo approccio al buco nero super massiccio di questa estate è stato uno degli eventi più seguiti in astronomia nella mia carriera», ha sottolineato Ghez, secondo la quale G2 sta attraversando quella che lei ed altri esperti chiamano fase della “spaghettificazione” (quando grandi oggetti passano vicino al buco nero si allungano come se fossero plastici ed elastici). Per studiare l’oggetto i ricercatori hanno utilizzato il Laser guide star adaptive optics system (LGSAO) e la Near-infrared camera (NIRC2) utilizzando due bande del vicino infrarosso. I prossimi passi per Ghez e il suo team saranno orientati a «capire la frequenza con cui questi fenomeni si verificano e capire cosa comporta nella crescita del buco nero».
di Eleonora Ferroni (INAF)

Brutta fine in vista per la nube G2

Un banchetto con i fiocchi, quello che si prepara per il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. Che pare sul punto di inizare a mangiarsi una misteriosa nube di gas e polveri nei suoi paraggi, intravista dagli astronomi per la prima volta nel 2002, e studiata in maggior dettaglio solo quest’anno. Ora, una simulazione al computer preparate da tre giovani ricercatori dell’Università della South Carolina prova a mostrarci che cosa succederà quando quella nube (chiamata G2) arriverà tanto vicina al buco nero che questo inizierà a “mangiarla”. In breve, G2 sopravviverà in parte, ma con una forma diversa e un futuro incerto.
Dietro alla ricerca ci sono il fisico Peter Anninos e gli astrofisici Stephen Murray e Chris Fragile, la studentessa di quest’ultimo Julia Wilson. Usando un supercomputer da 3000 processori, 50 mila ore di tempo di computazione e il codice Cosmos++ sviluppato dagli stessi Anninos e Fragile, i ricercatori hanno condotto otto diversi scenari di simulazione in 3D, usando tutti i dati a disposizione sui due oggetti. Il buco nero, noto come Sgr A* (Sgr sta per “Sagittario”, la zona del cielo in cui è visibile guardandolo dalla Terra) è relativamente ben noto, e ha una massa di circa 3-4 milioni di volte il nostro Sole. Su G2 sappiamo molto poco. La polvere al suo interrno sembra avere una temperatura di circa 550 gradi. Il gas invece, per lo più idrogeno, arriva a 10,000 gradi Kelvin. La sua origine è ancora sconosciuta. Spiega Murray che “potrebbe essere una vecchia stella che ha perso la sua atmosfera esterna, o qualcosa che ha tentato di diventare un pianeta ma non ci è riuscito”.
Fatto sta che a partire dal prossimo settembre si avvicinerà troppo al buco nero, e inizierà a riscaldarsi a temperature altissime, diventando visibile in raggi X e onde radio. La nube però non raggiungerà il punto di non ritorno, oltre il quale un oggetto non può più sfuggire all’attrazione gravitazionale del buco nero. Ciò non vuol dire che uscirà indenne dall’incontro. “La maggior parte della sua energia cinetica e del suo momento angolare verrà dissipata, e si frantumerò in una struttura incoerente. Per lo più si unirà al disco di accrescimento attorno al buco nero, o ne verrà catturata. Diventerà così diffusa che difficilmente il gas potrà mantenere la sua traiettoria orbitale”.
L’intero evento dovrebbe consumarsi in meno di un decennio.
di Nucola Nosengo (INAF)