Eclissi di superluna in arrivo

A settembre, appuntamento da non perdere con l’eclissi di Luna: a partire dalle prime ore del 28 la Terra si troverà perfettamente allineata tra il Sole e il nostro satellite naturale, dando vita una eclissi totale che sarà interamente visibile, nuvole permettendo, anche dal nostro Paese. L’orario non è però dei più comodi: il disco lunare inizierà ad entrare nel cono di penombra della Terra alle 2:11 del mattino, ora italiana. Alle 3 e 7 minuti il disco comincia ad attraversare la zona d’ombra e la fase di totalità inizia a partire dalle 4 e 11. Il massimo dell’eclissi si verificherà alle 4 e 47 del mattino. Poi, alle 5 e 23 si concluderà la fase di totalità, poco più di un’ora dopo la luna uscirà dal cono d’ombra e infine, alle 7 e 23, l’eclissi si concluderà con l’uscita della Luna dalla penombra. A rendere ancor più spettacolare il fenomeno c’è il fatto che la Luna si troverà in prossimità del perigeo, ossia del punto di massimo avvicinamento alla Terra, a poco meno di 357.000 chilometri e ci apparirà così leggermente più grande del solito. Una superluna con eclissi, quindi.
di Marco Galliani (INAF)

La farfalla e lo scorpione

La costellazione dello Scorpione è una delle più belle tra quelle visibili nel cielo estivo. Proprio nella zona di cielo che le compete, prossima al piano galattico tracciato dalla suggestiva Via Lattea, si concentrano numerosi oggetti celesti, alcuni dei quali possono essere osservati, seppure con un po’ di difficoltà, già ad occhio nudo. Uno di questi è l’ammasso stellare aperto denominato Messier 6, noto anche come Ammasso Farfalla. Un appellativo che nasce dalla distribuzione delle sue stelle, che ricorda ali dispiegate di una farfalla. Per individuare l’ammasso si può prendere come riferimento Shaula e Lesath, le due stelle che individuano idealmente la coda dello Scorpione e alzare leggermente lo sguardo. L’oggetto celeste è stato scoperto verso la metà del 1600 dall’astronomo italiano Giovanni Battista Hodierna e poi classificato come sesto elemento del celebre catalogo di Charles Messier. Esso è composto da un centinaio stelle e si estende per circa 12 anni luce. Quella che ancora non è stata confermata con precisione è la sua distanza, le cui attuali stime oscillano tra 1500 e 2000 anni luce. Ma luglio si apre anche con lo spettacolare evento che si verificherà proprio la sera del primo giorno del mese, di cui abbiamo già parlato qui su Media INAF: la congiunzione molto stretta di Venere e Giove. I due corpi celesti si troveranno a una distanza apparente addirittura inferiore del diametro della Luna piena. Il fenomeno è visibile ad occhio nudo e si potrà seguire facilmente cercando i due corpi celesti già sul fare della sera, verso ovest. L’avvicinamento di Giove a Venere è solo apparente, dovuto ad un effetto di prospettiva. I due pianeti in realtà sono separati da oltre 800 milioni di chilometri, più di cinque volte la distanza Terra-Sole.
di Marco Galliani (INAF)

Il Dna della Terra è lo stesso della Luna

Lo studio di una nuova “impronta digitale” isotopica della Luna, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Maryland (UMD), potrebbe fornire il tassello mancante per spiegare la sua origine. Per la prima volta, gli scienziati hanno potuto mettere sul banco di prova il modello comunemente accettato per la formazione della Luna analizzando le tracce inaspettatamente simili di un isotopo del tungsteno presente su entrambi i corpi celesti. I risultati suggeriscono che l’impatto con la Terra di un corpo roccioso della taglia di Marte fu così violento che i detriti si mescolarono prima di aggregarsi per formare quello che in seguito diventerà il nostro satellite naturale. Un confronto tra le “impronte digitali” della Terra e della Luna conferma l’esistenza di una interconnessione violenta avvenuta nel passato. Gli astronomi ritengono che nei primi 150 milioni di anni, dopo la formazione del Sistema Solare, un corpo celeste di dimensioni enormi, simile a Marte, colpì la primitiva Terra producendo a seguito dell’impatto una gigantesca “nube” di roccia e detriti che furono espulsi verso lo spazio.

Nel corso del tempo, questa nube si sarebbe aggregata per formare la Luna. Per quasi 30 anni, gli scienziati planetari hanno accettato questa spiegazione, detta teoria dell’impatto gigante, tenendo presente, però, un fatto importante. Anche se questo scenario si può considerare valido nel momento in cui si guarda alla dimensione della Luna e al suo moto orbitale attorno alla Terra, le cose iniziano a non essere più valide, anche se di poco, quando si confrontano le rispettive composizioni isotopiche, cioè l’equivalente geologico di una sorta di “impronta digitale del DNA”. In altre parole, la Terra e la Luna sono, per certi aspetti, molto simili. L’eccezione presente in questa spiegazione è dovuta al fatto che la Luna dovrebbe contenere tracce isotopiche di un corpo celeste estraneo, che gli astronomi hanno chiamato Theia. Nella mitologia greca, Theia, o Tea, è una titanide, sorella e moglie di Iperione, madre di Elio (dio del Sole), Selene (dea della Luna) ed Eos (dea dell’aurora), e il suo nome, da solo, significa proprio dea. Dato che questo oggetto è arrivato da qualche regione del Sistema Solare primordiale, molto probabilmente esso doveva possedere un “DNA isotopico” molto diverso da quello della Terra primitiva. «Il problema è che la Terra e la Luna sono molto simili in termini della loro composizione isotopica, il che suggerisce che essi si sono formati in definitiva dallo stesso materiale che si era accumulato durante le fasi primordiali della storia del Sistema Solare», spiega Richard Walker un professore di geologia dell’Università del Maryland e co-autore dello studio pubblicato su Nature. «Si tratta di un fatto sorprendente poiché ci aspettiamo che il corpo celeste, da cui si è originata la Luna e che doveva avere le dimensioni di Marte, doveva essere molto diverso dalla Terra. Dunque, ora il paradigma è che la Terra e la Luna non dovrebbero essere molto simili». Nel corso degli ultimi anni, sono state proposte varie teorie per spiegare le similitudini tra la Terra e la Luna. Forse l’impatto creò un gigantesco anello di detriti che si mescolarono con il materiale espulso dalla Terra per poi successivamente aggregarsi e dar luogo alla formazione del nostro satellite naturale. Oppure, Theia potrebbe essere stata, per un caso fortuito, molto simile alla giovane Terra dal punto di vista della composizione isotopica. Ma una terza possibilità vuole che la Luna si sia formata dal materiale terrestre, piuttosto che da Theia, anche se in questo caso si sarebbe trattato di uno strano tipo di impatto. Per tirar fuori una spiegazione, Walker e il suo team hanno esaminato un altro fenomeno ben documentato che risale alla storia primordiale del Sistema Solare. L’evidenza suggerisce che sia la Terra che la Luna abbiano accumulato nel corso del tempo del materiale aggiuntivo dopo l’impatto principale e che la Terra ne abbia accumulato una quantità maggiore. Queste detriti e polvere contenevano una elevata percentuale di tungsteno e una quantità relativamente minima doveva essere costituita dal suo isotopo più leggero, noto come tungsteno-182. Dunque, se mettiamo insieme questi fatti ci si aspetta che la Terra debba avere una quantità di tungsteno-182 inferiore rispetto alla Luna. Inoltre, confrontando le rocce della Luna con quelle della Terra, Walker e colleghi hanno trovato che la Luna possiede una proporzione leggermente più elevata di tungsteno-182. Il punto sta proprio nel determinare questa differenza. «La più piccola, se pur significativa, differenza di composizione isotopica del tungsteno presente nella Terra e nella Luna corrisponde perfettamente alle diverse quantità di materiale che venne accumulato dalla Terra e dalla Luna dopo l’impatto», continua Walker. «Ciò vuol dire che, subito dopo che si formò la Luna, essa doveva avere esattamente la stessa composizione isotopica del mantello terrestre». Questi risultati supportano l’ipotesi secondo cui la massa del materiale creatosi dall’impatto, e che più tardi formerà la Luna, si deve essere mescolata prima che iniziasse il processo di aggregazione e di raffreddamento della Luna. Ciò spiegherebbe sia le ampie similitudini relative alla composizione isotopica che le minime differenze di percentuale relative all’isotopo del tungsteno-182. Inoltre, queste analisi escludono un’altra ipotesi in base alla quale il corpo celeste impattante abbia avuto una composizione isotopica simile oppure che la Luna si sia formata dal materiale contenuto nel corpo celeste impattante prima della collisione con la Terra. In entrambi i casi, sarebbe estremamente improbabile vedere una correlazione così perfetta tra il tungsteno-182 e la quantità di materiale accumulato dalla Terra e dalla Luna dopo l’impatto. «Questo risultato ci permette comunque di fare un passo avanti verso la comprensione della stretta connessione tra i due corpi celesti. Abbiamo bisogno di lavorarci ancora di più per approfondire i dettagli delle nostre analisi ma è certo che il nostro Sistema Solare primordiale doveva essere un luogo davvero caotico», conclude Walker. Nella foto illustrazione artistica della collisione dei due corpi celesti. Gli scienziati ritengono che sia stato questo impatto a formare la Luna nei primi 150 milioni di anni dopo la nascita del Sistema Solare. Credit: NASA/JPL-Caltech.
di Corrado Ruscica (INAF)

Il cielo di settembre: uno scrigno di stelle nel Pegaso

L’ammasso globulare Messier 15 (M15) si trova nella costellazione del Pegaso, alta nel cielo verso sud nelle sere di settembre. Osservare questo oggetto celeste non è facile, anche se già con un binocolo si può identificare come una macchiolina di luce diffusa. Per ammirarlo in tutta la sua magnificenza, data dallo sfavillio delle oltre 100.000 stelle che lo compongono, c’è bisogno di strumenti potenti. E ancora una volta la migliore visione di questo ammasso ce la rende il telescopio spaziale Hubble, con le immagini che stanno scorrendo. Distante da noi 35.000 anni luce, M15 è stato scoperto dall’astronomo italiano Giovanni Domenico Maraldi nel 1746 ed esattamente 250 anni fa fu osservato da Charles Messier che lo inserì nel suo catalogo di oggetti nebulari. Questo ammasso è probabilmente il più denso tra quelli che si trovano nella nostra Galassia, e da alcuni anni, proprio studiando le immagini del suo nucleo ottenute da Hubble, gli astronomi sospettano che lì possa annidarsi un efficiente attrattore gravitazionale, sotto forma di un gruppo compatto di stelle di neutroni o perfino un buco nero di massa intermedia. Volete individuare facilmente l’ammasso globulare Messier 15, le costellazioni e i pianeti visibili nel cielo notturno di settembre? Allora non vi resta che guardare il video sul sito INAF.
di Marco Galliani (INAF)

La grande burla della Luna

Si chiamava “The Great Moon Hoax”, ovvero “La grande burla della luna”. Si era nel lontano 1835 e la conquista della luna era ancora nel campo della pura immaginazione.  Così come quello che si sarebbe potuto trovare lassù. Il quotidiano New York Sun, a partire dal mese di agosto, pubblicò una serie di articoli riguardanti – nientemeno – che la scoperta della vita e della civiltà sul nostro satellite. L’autore delle scoperte sarebbe stato nientemeno che John Herschel, astronomo famosissimo al tempo.  Ora, è chiaro che doveva trattarsi di articoli satirici. La cosa piuttosto impressionante, a ripensarci ancor oggi, è il fatto che vennero presi in tutt’altro modo. Per diverso tempo vennero presi sul serio. Tanto da essere tradotti in altre lingue. Perfino in italiano, con l’uscita a Napoli, l’anno successivo, di un libretto intitolato Delle scoperte fatte nella luna del dottor Giovanni Herschel. Pur trattandosi di una burla, appunto, pianificata probabilmente anche con lo scopo di aumentare la tiratura del giornale (e in questo, ebbe pieno successo) è illuminante per farci comprendere al giorno d’oggi a noi – smaliziati uomini del secolo XXI, avvezzi a ragionare delle profondità cosmiche più lontane – di quale enorme curiosità e quale senso di possibili meravigliose scoperte fosse avvolto il nostro satellite. Ora sappiamo che la realtà è molto meno suggestiva, in un certo senso. La luna – l’unico satellite naturale di cui disponiamo – è fredda e piuttosto desolata. Ce lo hanno ben testimoniato anche gli astronauti.  Pensate però a che nuvola di mistero ancora la circondava, per l’uomo di inizio ottocento. Quali civiltà, quali meravigliosi esseri popolavano questo satellite? Chissà quanti ragionamenti arditi nelle notti di luna piena, quante elaborazioni fantastiche, quanti tentativi di immaginare cosa potesse davvero esserci. Ecco, gli articoli ebbero così tanto successo perché venivano incontro a questa curiosità diffusa: in un certo senso, rispondevano ad un bisogno culturale.  Come noi oggi ragioniamo intorno al possibile destino dell’Universo, alla sua remota origine, ci perdiamo nella nozione intellettuale degli universi paralleli, così gli uomini allora, probabilmente, si chiedevano quali creature popolassero la nostra luna.  Gli articoli del New York Sun interpretavano questo bisogno, rispondevano ad una curiosità diffusa. Con il trucco di attribuire le scoperte ad uno scienziato famoso (il quale ovviamente non aveva mai osservato nulla del genere), tali articoli non difettavano certo in immaginazione, perché descrivevano minutamente una topografia lunare alquanto intrigante, con foreste, mari interni, piramidi di quarzo di colore lilla. Non era tutto. Altro che sassi. La luna era decisamente popolata. Bisonti, unicorni blu, creature anfibie nei fiumi, tribù primitive che abitavano delle capanne, uomini alati che vivevano in una sorta di pastorale armonia in un suggestivo tempio dal tetto d’oro. Furono decine di migliaia le copie vendute dal New York Sun prima che qualcuno si rendesse conto che era … fantascienza, non scienza. Tanto per capire la proporzione, considerate che già l’edizione con la seconda puntata vendette la bellezza di diciannovemila copie, ottenendo la diffusione più ampia di qualsiasi altro quotidiano su tutto il pianeta. La bufala si estese in maniera virale, anche (dettaglio non trascurabile) tra gli scienziati, prima che qualcuno capisse che si trattava di una completa invenzione. Del resto, la scienza ufficiale non viaggiava molto lontano da quanto l’articolista (forse tal Richard Adams Locke, nella realtà) aveva osato immaginare. A ulteriore conferma del fatto che la scienza non è mai avulsa dal suo tempo e – lungi dal costituire  una sorta di indagine asettica del reale – incarna e fa propri gli aneliti e i desideri più propriamente umani caratteristici di ogni epoca. Come pensare altrimenti, se consideriamo infatti che un docente di astronomia presso l’Università di Monaco, Franz Von Paula Gruithuisen, aveva pubblicato nel 1824 un documento che si intitolava “La scoperta di molte distinte tracce di abitanti lunari, in particolare di uno dei suoi edifici colossali” (già il titolo farebbe sobbalzare sulla sedia qualsiasi scienziato odierno) nel quale sosteneva di aver osservato diverse tonalità di colori sulla superficie del nostro satellite, che lui correlava – disinvoltamente, diremmo oggi – con diversi climi e differenti zone di vegetazione? Arrivando perfino a correlare linee e forme geometriche da lui osservate con la probabile esistenza di muri, strade, città e fortificazioni? Va detto che un margine di eccentricità doveva comunque essere percepibile anche allora, perché probabilmente – al di là dell’aumento di tiratura – teorie come quella di Gruithuisen erano proprio il bersaglio dell’operazione satirica.  Consideriamo comunque che queste teorie – per quanto eccentriche ci sembrino oggi – erano il prodotto accademico di scienziati professionisti. Certo non tutti erano così fantasiosi, non tutti azzardavano ipotesi così rischiose, ma tant’è. Sorprende, forse. Ma solo a chi non comprenda come la scienza sia molto, molto più umana (e dunque molto, molto più interessante) di come tanta cattiva cultura, ancora permeata di influssi crociani, ci porta a pensare. Quella “cultura” che vede la scenza appena  come misuratrice della realtà. No, la scienza è molto di più. E anche questi episodi “minori” ce lo insegnano. La scienza è legata intimamente alle altre attività culturali dell’uomo (ove l’uomo ricerca la natura e il senso di sé nel mondo), è iscritta a pieno titolo nel suo tragitto culturale e di scoperta. E’ insomma parte integrante dell’avventura umana. 
(Elaborazione del sito GruppoLocale dalla voce di wikipedia Great Moon Hoax, alla quale si rimanda per approfondimenti e link.) 

18 modi per acchiappare un asteroide

Forse la NASA ha finalmente trovato il modo di recuperare qualche buona idea per sviluppare il suo ambizioso progetto di cattura asteroidi. 4,9 milioni di dollari per 18 proposte concrete di recupero rocce spaziali, che punta a trascinare un oggetto di piccole dimensioni (fino a 10 metri di diametro) attorno alla Luna in vista di future scampagnate di equipaggi di astronauti. “Investendo su questi progetti, la NASA acquisisce una serie di conoscenze utili per completare una Asteroid Redirect Mission, e contemporaneamente sviluppa tecnologie necessarie per immaginare le future missioni esplorative”, spiega James Reuther, vice amministratore della tecnologia spaziale NASA presso il quartier generale di Washington. Dall’apertura della call for proposals lo scorso marzo, la NASA ha ricevuto 108 candidature. I 18 studi selezionati sono molto diversi fra loro, alcuni cercano di sviluppare un nuovo sistema di recupero degli asteroidi, altri si concentrano sulla tecnologia di aggancio, altri su piccole modifiche ai veicoli commerciali già in uso. Fra i progetti vincenti anche quello presentato dalla no-profit Planetary Society, che suggerisce di caricare la sonda robot acchiappa asteroidi con una vivace popolazione di microbi resistenti per verificare come se la cavino nel viaggio da un pianeta all’altro a bordo di una roccia di quelle dimensioni (o infilati negli interstizi del minerale come vorrebbero gli esobiologi). L’idea è una variante del Living Interplanetary Flight Experiment (LIFE) già pensato per la missione sulla luna marziana Phobos – e che doveva ritornare sulla Terra con la missione Phobos-Grunt – vittima di un errore di lancio che nel gennaio 2012 ha fatto schiantare il vettore nell’Oceano Pacifico. Nel frattempo la NASA medita sul da farsi: è meglio recuperare un piccolo asteroide tutto intero o prelevare un pezzo da un asteroide più grande? Se si riesce a trascinare un oggetto di piccole dimensioni fino all’orbita lunare potrebbe essere facile raggiungerlo con missioni umane, magari facendo uso della capsula Orion e lo Space Launch System, il cui lancio è previsto per il 2021. La missione umana è già fissata per il 2025. In questo modo si potrebbero soddisfare gli obiettivi indicati dal presidente Barack obama nel 2010. E la missione da ‘acchiappa-asteroidi’ potrebbe essere d’aiuto nello sviluppo delle tecnologie fondamentali per il volo umano su Marte, previsto entro la metà dei prossimi anni Trenta.
di Davide Coero Borga (INAF)

L’altro lato della Luna

La Luna ha solo una faccia “macchiata”, ed è quella che rivolge a noi. Dalla Terra, le immagini del nostro satellite mostrano una superficie dove spiccano zone più scure, che gli antichi hanno chiamato con il termine latino maria. Mari, appunto, fatti non di acqua ma di ampie pianure basaltiche. E sull’altro lato? Sorprendentemente, non c’è nulla di tutto questo. Niente luci né ombre, ma un unico colore uniforme. Tanto che gli astronomi hanno iniziato a parlare del “lato oscuro della Luna”, dove l’oscurità in questo caso è riferita più che altro al mistero: non si riusciva proprio a capire il motivo per cui imaria fossero presenti da una parte sola. Ma ora un gruppo di ricerca dell’Università della Pennsylvania (Penn State) ha forse svelato l’arcano. “Mi ricordo la prima volta che ho visto un globo della Luna, da ragazzo. Sono rimasto stupefatto da quanto apparisse diverso il lato opposto” ricorda Jason Wright, co-autore dello studio. “Era tutto montagne e crateri: dov’erano i maria? Ecco quello che si è rivelato essere un mistero fin dalla fine degli anni ‘50”. Fin dal 1959, per l’esattezza, quando la navicella sovietica Luna 3 trasmise le prime immagini del “retro” lunare. Mostrando per la prima volta la quasi totale assenza di zone più scure. Secondo gli astrofisici della Penn State, le ragioni di questa differenza vanno ricercate molto indietro: fino alle origini della formazione lunare. È opinione diffusa che la Luna sia nata poco dopo la Terra, come conseguenza di un devastante impatto sul nostro pianeta di un meteorite grande circa quanto Marte. Lo scontro avrebbe staccato dalla Terra un gigante frammento, che avrebbe poi formato il nostro satellite. “Subito dopo questo gigante impatto, la Terra e la Luna erano molto calde” dice Steinn Sigurdsson, leader del gruppo di ricerca.  In questa fase, la Luna era da 10 a 20 volte più vicina alla Terra di quanto non sia ora, ma il suo periodo di rotazione non è più cambiato. E così il nostro pianeta viene guardato sempre dalla stessa faccia lunare da molti, molti anni. Ecco le tre chiavi per svelare il mistero deimaria lunari: calore, distanza e lato esposto alla Terra. Partiamo dal calore. Poiché la Luna era molto più piccola del pianeta terrestre, si è raffreddata anche più rapidamente. Dal canto suo, la Terra continuava a essere bollente: la sua superficie misurava circa 2.500 gradi Celsius. E qui entrano in gioco gli altri due ingredienti: la distanza Terra-Luna, relativamente piccola, fece sì che la faccia lunare esposta – l’unica – mantenesse una temperatura comunque più alta rispetto al lato non esposto. Un fatto cruciale per la formazione della crosta lunare, che contiene alte concentrazioni di calcio e alluminio: elementi molto difficili da far evaporare. “Quando il vapore delle rocce ha iniziato a raffreddarsi, i primi elementi che sono spuntati erano il calcio e l’alluminio” spiega Sigurdsson. “Ma il lato vicino della Luna era ancora troppo caldo, per cui questi metalli si sono condensati sul lato lontano, formando una crosta molto spessa”. Il resto l’hanno fatto i meteoriti: quando la Luna ha iniziato a subire l’impatto di vari oggetti celesti, il “nostro” lato aveva una superficie molto più sottile, che quindi veniva rotta più facilmente. Al contrario, il lato opposto poteva essere intaccato molto meno, proprio grazie alla sua spessa crosta di calcio e alluminio. Ecco svelato il mistero dei maria: originati dall’impatto con i meteoriti, sarebbero zone lunari corrispondenti ai punti in cui la Luna è stata letteralmente scrostata, e per questo risultano più in ombra. Il lato oscuro della Luna ha quindi a che fare con una storia molto antica, ma che ancora oggi mostra chiaramente i suoi segni. A patto di riuscire a guardare le cose dall’altro lato.
di Giulia Bonelli (INAF)

Gli otto grandi misteri della Terra

Oggi possiamo dire di conoscere alcuni angoli di spazio meglio delle nostre tasche. E questo è vero quasi in senso letterale: ad esempio, possediamo una mappa della superficie di Marte molto più dettagliata di quella degli oceani terrestri. Mentre l’Universo viene svelato anno dopo anno, sono ancora tanti i misteri che avvolgono quella che è la nostra casa da millenni, il Pianeta Terra. In occasione della Giornata mondiale della Terra, la giornalista scientifica Becky Oskin ha pubblicato su Livescience un articolo che parla proprio degli enigmi terrestri ancora rimasti irrisolti. Identificando 8 domande fondamentali, corrispondenti ad altrettanti rompicapo che la scienza dovrà risolvere nei prossimi anni.

1. Perché siamo così bagnati?

Secondo gli scienziati, quando 4,5 miliardi di anni fa la Terra si è amalgamata nella forma attuale, era costituita per lo più da un grande masso arido e secco. Da dove è spuntata tutta quest’acqua? In che modo l’H2O, elemento chimico per eccellenza simbolo di vita, si è formato fino a raggiungere le percentuali attuali? Una delle ipotesi più accreditate è che l’origine sia stato il violento impatto con asteroidi ghiacciati, da cui il nostro pianeta si sarebbe rifornito di acqua per la prima volta. Eppure sono state trovate pochissime prove di questi scontri, e così il mistero dell’acqua rimane irrisolto.

2. Cosa c’è al centro?

Tra miti e leggende, il mistero del nucleo terrestre ha affascinato gli scrittori almeno quanto i ricercatori. Per molto tempo, sia scienza che letteratura hanno parlato del centro irraggiungibile della Terra: fino agli anni ’40, quando lo studio di alcuni meteoriti portò a una vera e propria rassegna di tutti i minerali che dovevano essere presenti sopra e dentro il nostro pianeta. I “grandi assenti” erano il ferro e il nichel, che poiché non si trovavano sulla crosta terrestre, dovevano necessariamente stare nel nucleo: ecco elaborata la prima teoria sul centro della Terra. Ma appena un decennio dopo, una serie di misure che sfruttavano la forza di gravità dimostrarono che quella stima era erronea: il nucleo era troppo leggero. Oggi i ricercatori continuano a fare ipotesi sugli elementi che compongono la zona più interna e calda del pianeta, ma ancora non è stata raggiunta una teoria condivisa.

3. Da dove viene la Luna?

Da uno scontro titanico tra la Terra e un protopianeta della dimensione di Marte? È la teoria più accreditata, ma non convince tutti. Anche perché alcuni dettagli non quadrano: per esempio, la composizione chimica di Terra e Luna è troppo simile perché il nostro satellite sia arrivato da lontano. Per questo, secondo alcuni, si trattava invece di un gigante frammento staccato proprio dal nostro pianeta; ma ancora, in questo caso non è chiaro in che modo la Luna si sarebbe staccata da noi. Insomma, il mistero dell’origine della Luna resta tale.

4. Come si è formata la vita?

Questa è forse la domanda delle domande. I primi organismi viventi hanno avuto origine sulla Terra, o sono stati portati dallo spazio? Le componenti più basilari della vita, come gli amminoacidi e le vitamine, sono state trovate “impigliate” sia nelle rocce degli asteroidi sia nelle zone più inospitali della Terra. Per questo l’ago della bilancia ancora non può pendere per l’una o per l’altra teoria, anche perché non è mai stata trovata traccia di quelli che si pensa fossero gli abitanti più primitivi del nostro pianeta, i primi batteri.

5. L’ossigeno, come e quando?

Dobbiamo la nostra esistenza ai cianobatteri, creature microscopiche che hanno avuto un ruolo determinante nella trasformazione dell’atmosfera terrestre. Questi microrganismi buttavano fuori ossigeno come scarto, riempiendone così il cielo per la prima volta circa 2,4 miliardi di anni fa. Eppure l’analisi delle rocce rivela tracce di ossigeno risalenti a 3 miliardi di anni fa: ci manca quindi un tassello per capire davvero la storia della vita sul nostro pianeta.

6. Cosa causò l’esplosione Cambriana?

Il periodo Cambriano, 4 miliardi di anni dopo la formazione della Terra, vide una vera e propria esplosione di vita: improvvisamente comparvero animali con cervelli e vasi sanguigni, occhi e cuori, tutti in grado di evolversi più rapidamente rispetto a qualunque altra era geologica conosciuta. Ci fu un responsabile di questa esplosione? Secondo alcuni, una spiegazione potrebbe essere un aumento del livello di ossigeno appena prima l’inizio del Cambriano, ma altri fattori potrebbero aver concorso a questa rivoluzione di vita.

 7. Quando cominciò la tettonica delle placche?

Il movimento e il sollevamento di strati sottili di crosta terrestre hanno dato origine alle meravigliose cime montuose e alle violente eruzioni vulcaniche sul nostro pianeta. Eppure i geologi ancora non hanno capito in che modo si è avviato il motore della tettonica: semplicemente, le prove sono andate distrutte. Giusto alcuni minerali risalenti a 4,4 miliardi di anni fa sono sopravvissuti, a segnalare le prime rocce continentali esistenti. Ma ancora non è chiaro il meccanismo che ha portato alla rottura della crosta terrestre.

8. E i terremoti?

Più che un mistero, questa è una sfida. I modelli statistici sono oggi in grado di prevedere la probabilità statistica dei terremoti, più o meno come gli esperti sanno fare con le previsioni del tempo. Ma prevedere un evento specifico è ancora impossibile: persino il più grande esperimento mai fatto in proposito è fallito, quando i geologi hanno annunciato un terremoto a Parkfield, in California, nel 1994, e l’evento si è verificato solo nel 2004. Per questo, oltre agli enigmi sul passato del nostro pianeta, ci sono quelli sul suo futuro: tra tutti, riuscire a proteggerlo dai disastri atmosferici.
di Giulia Bonelli (INAF)

A che ora è l’inizio del mondo?

Quando è nato il Sistema solare? Quando invece la Terra? E la Luna? Domande fondamentali per capire la storia e l’evoluzione dell’ambiente in cui viviamo e, ancor oggi, assai dibattute. Se sappiamo ormai con un’invidiabile grado di precisione che i più antichi ‘mattoni’ del Sistema solare finora noti possiedono un’età di 4 miliardi e 567 milioni di anni, non possiamo ancora dare cifre così unanimemente condivise per quanto riguarda il nostro Pianeta e il suo satellite naturale.  Di essi sappiamo che dovrebbero essersi formati ed aver preso la loro struttura che ancor’oggi possiedono entro i primi 150 milioni di anni dalla nascita del Sistema solare. Vari gruppi di ricerca, in tutto il mondo, stanno cercando di migliorare la precisione di questa datazione, sfruttando varie tecniche, come quelle basate sull’analisi delle concentrazioni di alcuni isotopi radioattivi presenti nei minerali lunari e terrestri. La correlazione tra le rocce lunari e quelle di casa nostra è d’obbligo poiché si pensa che la Luna si sia formata in seguito a uno scontro tra la giovanissima Terra e un corpo celeste delle dimensioni approssimative di Marte. E proprio simulando  questo scontro un team di ricercatori guidato da Seth Jacobson dell’Osservatorio de la Cote d’Azur a Nizza in Francia, è riuscito a stabilire che il nostro satellite si sarebbe formato circa 100 milioni di anni dopo la nascita del Sistema solare. I ricercatori sono giunti a queste conclusioni, pubblicate in un articolo nell’ultimo numero della rivista Nature,  partendo proprio dai processi di formazione del nostro sistema planetario, partendo dall’epoca in cui era ancora popolato da migliaia di componenti rocciosi e planetoidi distribuiti a mo’ di disco. Facendo evolvere il sistema, è stato così possibile risalire alla data più probabile del catastrofico impatto subito dalla Terra, un risultato che è indipendente dagli altri metodi di datazione e in accordo con alcuni studi analoghi, basati su altre tecniche. “Ci rende davvero entusiasti aver scoperto un ‘orologio’ per la formazione della Luna che non dipendesse dai metodi di datazione radiogenica” dice Jacobson. “Questa correlazione è emersa dalle nostre simulazioni ed è consistente anche con quelle già realizzate in passato”. I ricercatori, alla luce dei risultati ottenuti, ritengono inoltre poco probabile che la Terra abbia completato i suoi processi di formazione e solidificazione entro i primi 38 milioni di anni del Sistema solare, preferendo come finestra temporale quella che si attesta attorno ai 95 milioni di anni e assegnando quindi al nostro Pianeta un’età di circa 4,47 miliardi di anni. Un valore che la rende, ragionevolmente, antecedente per formazione all’età dei più antichi minerali finora individuati nella sua crosta. D’altra parte però le cose non sono tutte così certe. Intanto non c’è l’assoluta sicurezza che le condizioni dinamiche in cui si è formato il nostro Sistema solare e si sono evoluti i suoi pianeti siano esattamente quelle utilizzate da Jacobson e i suoi colleghi nelle loro simulazioni. Altri recenti studi sullo stesso argomento, altrettanto validi, forniscono poi risultati piuttosto diversi da quelli proposti oggi. Insomma, anche se grazie a questo studio abbiamo un nuovo ‘orologio’ per misurare l’età di Terra e Luna, quello che è certo è che dovremo testarlo ancora un po’ insieme agli altri per renderlo più preciso e affidabile.
di Marco Galliani (INAF)

Un Presepe anche a febbraio

Natale è già passato da più di un mese ma anche a febbraio, per chi vuole, c’è un Presepe da vedere. Quello di cui stiamo parlando è un ammasso stellare aperto e si può scorgere, tempo permettendo, nei cieli serali di queste settimane, alto verso sud in direzione della costellazione del Cancro. Conosciuto già in tempi antichissimi, per i Greci e i Romani rappresentava una mangiatoia, da cui appunto il suo nome latino. A questa mangiatoia celeste si sfamavano due asini, rappresentati da due stelle nel cuore della costellazione del Cancro. Ad occhio nudo il Presepe appare come una piccola area nebulosa leggermente illuminata, ma già con un binocolo si riescono a risolvere alcune decine di stelle, proprio come fece nel 1609 Galileo Galilei, che compì la prima osservazione telescopica di questo ammasso aperto che di stelle, in realtà, ne conta oltre mille. Recenti studi hanno confermato altre caratteristiche di questo oggetto celeste: la sua distanza pari a circa 600 anni luce, che lo rende uno dei più vicini alla Terra, e la sua massa complessiva, stimata in 500-600 volte quella del nostro Sole. Le stelle che lo compongono, nate tutte da una stessa nube di gas circa 600 milioni di anni fa, sono piuttosto variegate anche se la maggior parte di esse possiede masse più piccole o circa uguali a quella del Sole. I consigli per osservare agevolmente l’ammasso stellare del Presepe (anche noto come M 44 o NGC 2632) insieme alle costellazioni, ai pianeti e agli altri fenomeni celesti visibili nel cielo del mese di gennaio potete trovarli nel video su Media Inaf.
di Marco Galliani (INAF)

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