Tempeste solari e brillamenti (senza dimenticare l’Evento di Carrington)

Il ciclo solare (o ciclo dell’attività magnetica solare) è il “motore” dinamico e la sorgente energetica alla base di tutti i fenomeni solari. L’attività solare viene misurata in base al numero di macchie solari che compaiono in maniera ciclica e più o meno intensa sulla superficie solare. Quando la superficie solare mostra un ampio numero di macchie, il Sole sta attraversando una fase di maggior attività e emette maggior energia nello spazio circostante. Il numero medio di macchie solari presenti sul Sole non è costante, ma varia tra periodi di minimo e di massimo. Il ciclo solare è il periodo, lungo in media 11 anni, che intercorre tra un periodo di minimo (o massimo) dell’attività solare e il successivo. La lunghezza del periodo non è strettamente regolare ma può variare tra i 10 e i 12 anni.Durante il periodo di minimo dell’attività possono passare anche settimane intere senza che sia visibile alcuna macchia sul disco del Sole, mentre durante il massimo è possibile osservare la presenza contemporanea di diversi grandi gruppi di macchie.Questo ciclo nella variazione del numero delle macchie solari venne intuito per primo dall’astronomo danese Christian Pedersen Horrebow ma il fenomeno fu riconosciuto solo nel 1845 sulla base delle osservazioni, estese su decine di anni, compiute dall’astrofilotedesco Heinrich Schwabe. Il ciclo venne poi esaminato in maniera più sistematica negli anni 50 dell’Ottocento dall’astronomo svizzero Rudolf Wolf, che introdusse il numero di Wolf per la caratterizzazione dell’attività solare. Questo numero viene calcolato moltiplicando per 10 il numero di gruppi di macchie presenti sul disco solare aggiungendovi poi il numero di macchie presenti in tutti i gruppi. Questo numero viene poi rinormalizzato per tenere conto delle differenti prestazioni degli strumenti utilizzati dai vari osservatori.L’attività solare si manifesta in svariati modi e oltre alla variazione del numero di macchie solari, molti fenomeni osservabili del sole manifestano variazioni cicliche undecennali, tra cui la frequenza di brillamenti solari, espulsioni di massa coronali, come pure la frequenza di aurore sulla terra.

Attività solare e variazioni del clima terrestre

Da sempre la comunità scientifica ha riconosciuto nel Sole l’elemento che fornisce la quasi totalità dell’energia che muove le dinamiche climatiche terrestri (venti, piogge, correnti oceaniche, movimenti delle nuvole e delle masse d’aria ecc.) Più complicato è stato trovare quanto e come l’attività del Sole influisca oggi sulle variazioni del clima terrestre. Fino a qualche anno fa la quasi totalità della comunità scientifica internazionale, sulla base della ricostruzione del clima da parte dei modelli, aveva maturato la convinzione che da sole le variazioni più o meno periodiche nella intensità della radiazione solare, non riuscirebbero a giustificate il forte riscaldamento attuale perché al più potevano provocare fluttuazioni di non più di 0.2 °C nel clima terrestre nell’arco di qualche decennio. Tuttavia oggigiorno molti studiosi fanno notare che l’influenza del Sole sul clima della Terra si esplica, non tanto attraverso le fluttuazioni – modeste – della quantità di energia solare in arrivo sul pianeta, quanto piuttosto attraverso un meccanismo più complesso legato all’attività solare. L’attività del Sole, infatti, viene misurata non in base alla quantità di energia irradiata nello spazio dalla nostra stella ma quanto piuttosto dal numero di macchie solari (Sunspot Number) che compaiono sulla sua superficie e che raggiungono un valore massimo ogni 11-12 anni. Approfonditi studi portati a termine nel 2009 da scienziati statunitensi e tedeschi del National Center for Atmospheric Research (NCAR) a Boulder, Colorado, avvalendosi di più di un secolo di osservazioni meteorologiche e delle tecnologie più avanzate attualmente disponibili, sono riusciti a dimostrare come avviene tale legame tra attività solare e fluttuazione del clima terrestre, spiegando in dettaglio la complessa interazione tra la radiazione solare, l’atmosfera e l’oceano. I risultati degli studi, pubblicati sul Journal of Climate e su Science, dimostrano come anche un piccolo aumento di attività solare influenza in maniera determinante l’area tropicale e le precipitazioni di tutto il globo terrestre. In particolare gli effetti di una maggiore attività solare si fanno sentire in maniera forte nel riscaldamento della troposfera tropicale (dove aumenta la quantità di ozono prodotta dai raggi UVA), nell’aumento della forza dei venti alisei, nell’aumento dell’evaporazione nella zona equatoriale e nell’aumento dell’annuvolamento e delle precipitazioni. Lo studio rileva come ci sia una indubbia associazione fra il periodico picco dell’attività solare e lo schema delle precipitazioni e della temperatura superficiale delle acque del Pacifico. Il modello messo a punto dai ricercatori mostra anche le influenze che i picchi solari hanno con due importanti fenomeni collegati al clima: La Niña e El Niño che sono originati da eventi associati ai cambiamenti nella temperatura delle acque superficiali del Pacifico orientale. In particolare l’attività solare risulta influire su La Niña e El Niño, rafforzandoli o contrastandoli. Molti climatologi ritengono che, al fine di comprendere meglio i meccanismi legati ai cambiamenti climatici e per rendere più affidabile gli scenari climatici futuri, tali studi sono importanti per capire la base naturale della variabilità climatica e per comprendere come la variabilità climatica naturale, in tempi diversi, sia significativamente influenzata dal sole.

Tempeste solari

Una tempesta geomagnetica è un disturbo della magnetosfera terrestre, di carattere temporaneo, causato dall’attività solare e rilevabile dai magnetometri in ogni punto della Terra. Durante una tempesta solare il Sole produce forti emissioni di materia dalla sua corona che generano un forte vento solare, le cui particelle ad alta energia vanno ad impattare il campo magnetico terrestre dalle 24 alle 36 ore successive all’emissione di massa coronale. Ciò accade soltanto qualora le particelle del vento solare viaggino in direzione della Terra. La pressione del vento solare cambia in funzione dell’attività solare e tali cambiamenti modificano le correnti elettriche presenti nella ionosfera. Le tempeste magnetiche generalmente durano dalle 24 alle 48 ore, anche se alcune possono durare per diversi giorni. Nel 1989, una tempesta elettromagnetica si verificò sui cieli del Québec, causando un’aurora boreale visibile fino in Texas.

Radiazioni pericolose

Il vento solare rilascia intense particelle ad alta energia che possono generare delle radiazioni dannose per gli esseri umani, allo stesso modo delle radiazioni nucleari a bassa energia. L’atmosfera e la magnetosfera terrestri agiscono fornendo una adeguata protezione a livello del suolo, ma gli astronauti nello spazio sono soggetti a dosi potenzialmente letali di radiazioni ionizzanti. La penetrazione di particelle ad alta energia nelle cellule può causare il danneggiamento cromosomico, il cancro ed altri problemi di salute. Alte dosi potrebbero essere fatali. I protoni solari con energia superiore ai 30 MeV sono particolarmente pericolosi. Nel mese di ottobre del 1989, il Sole produsse particelle tanto energetiche da poter causare la morte di un astronauta che si fosse trovato sulla Luna con la sola protezione della tuta spaziale. I protoni solari possono produrre problemi di radiazioni anche a bordo di voli di linea alle elevate altitudini. Sebbene questi rischi siano bassi, il monitoraggio delle emissioni solari consente di valutare un eventuale cambio del piano di volo.

Brillamento solare

In astronomia, un brillamento solare o più esattamente brillamento stellare o anche eruzione solareeruzione stellare, è una violenta eruzione di materia che esplode dalla fotosfera di una stella, con un’energia equivalente a varie decine di milioni di bombe atomiche. I brillamenti delle stelle creano delle spettacolari protuberanze solari ed emettono fasci di vento solare molto energetico; in particolare la radiazione emessa da questi fenomeni nel Sole può rappresentare un pericolo per le navi spaziali al di fuori della magnetosfera terrestre, e che interferisce con le comunicazioni radio sulla Terra. I brillamenti sono spesso associati alle macchie solari e sono probabilmente causati dal rilascio di energia in occasione del fenomeno di riconnessione delle linee di campo magnetico.Questi fenomeni furono osservati per la prima volta nel 1859 dall’astronomo britannico Richard Christopher Carrington, e recentemente sono anche stati osservati su varie altre stelle. La frequenza dei brillamenti varia: da molti al giorno quando il Sole è particolarmente “attivo”, a circa uno alla settimana quando invece è “quieto”. Essi impiegano molte ore o anche giorni per “caricarsi”, ma l’eruzione solare vera e propria impiega pochi minuti per rilasciare la sua energia. Le onde d’urto risultanti viaggiano lateralmente attraverso la fotosfera e verso l’alto attraverso la cromosfera e la corona, a velocità dell’ordine di 5.000.000 di chilometri all’ora (ovvero 1.389 km/s, contro i 300.000 chilometri al secondo della velocità della luce).I brillamenti solari sono classificati in cinque classi di potenza a seconda della loro luminosità nei raggi X, misurata a Terra in Watt/m2 e nella banda tra 0,1 e 0,8 nm. In ordine crescente di potenza sono A, B, C, M e X. Ogni classe è dieci volte più potente di quella precedente, con la più potente X pari a un flusso di 10-4 W/m2, ed è ulteriormente suddivisa linearmente in 9 classi, numerate da 1 a 9. Per esempio un brillamento M5 è la metà di un brillamento M10, cioè X1, a sua volta la metà di un brillamento X2. Un brillamento X2 è pertanto 4 volte più potente di un M5 e 10 volte più potente di un evento M2. Oltre la classe X9, la più alta, la numerazione prosegue linearmente. Brillamenti di tale entità sono rari, come quelli del 16 agosto 1999 e del 2 aprile 2001, di potenza X20, cioè due volte più potenti di un X10, il fondoscala della classe X. Il record del più potente flare mai registrato è detenuto dall’evento del 4 novembre 2003, inizialmente stimato in X45 e successivamente corretto in X28. L’attività solare di routine si trova compresa tra le classi A e C, mentre la classe M è raggiunta solo in prossimità e durante il massimo del ciclo undecennale del Sole. I brillamenti X si concentrano quasi esclusivamente nei periodi di picco dell’attività e sono quindi relativamente rari, poche decine per ogni ciclo solare. Brillamenti come quello del 4 novembre 2003 sono ancora più rari, e avvengono solo poche volte per secolo, come l’evento di Carrington. La regione di macchie solari 486 che produsse il brillamento del 2003 era la più turbolenta mai osservata.Le particelle energetiche emesse da questi fenomeni solari sono le prime responsabili dell’aurora boreale e di quella australe.Il rischio posto dalle radiazioni da esse emesse è uno dei problemi maggiori per le missioni umane su Marte attualmente in discussione. Occorrerà un qualche tipo di scudo fisico o magnetico.La navetta Hinode chiamata originariamente Solar B, è stata inviata nel settembre 2006 dalla Agenzia Spaziale Giapponese con lo scopo di osservare e studiare in maniera più dettagliata le eruzioni del sole. La missione si è concentrata soprattutto sulla osservazione dei potenti campi magnetici solari, individuati secondo la teoria più accreditata come la fonte del fenomeno.

L’Evento di Carrington fu la più grande tempesta geomagnetica o solare mai registrata. Fu visualizzata il primo settembre 1859 e deve il suo nome a Richard Carrington, un astronomo inglese che, grazie al suo studio delle macchie solari, fu precursore anche della Legge di Spörer. L’evento produsse i suoi effetti su tutta la Terra dal 28 agosto al 2 settembre. La tempesta provocò notevoli disturbi all’allora recente tecnologia del telegrafo, causando l’interruzione delle linee telegrafiche per 14 ore e produsse un’aurora boreale visibile anche a latitudini inusuali (es. Roma, Giamaica,Hawaii e Cuba). Ebbe un indice DST pari a -850 nanotesla.  L’indice DST significa disturbance by storm e misura l’intensità di una tempesta magnetica (ad una maggiore intensità corrisponde un numero più basso). Giovedì 1º settembre 1859 alle ore 11,18 in una mattinata serena priva di nuvolosità, mentre era dedito all’osservazione del Sole attraverso un telescopio che ne proiettava l’immagine su uno schermo,Richard Carrington, allora all’età di 33 anni, accentrò la sua attenzione su un paio di luci accecanti apparse improvvisamente dentro una formazione di macchie solari che stava studiando; avevano una strana forma a fagiolo ed eguagliavano, se non superavano addirittura, la stessa luminosità della nostra stella. Agitatissimo, comprendendo di essere testimone di un evento straordinario, corse a cercare qualcuno che avallasse la sua scoperta; ma purtroppo quando ritornò, con sua grande sorpresa s’accorse che l’intensità di quelle luci si era alquanto affievolita fino a scomparire. Il giorno successivo, poco prima dell’alba, i cieli nei pressi delle latitudini di Cuba, Bahamas, Giamaica, El Salvador ed Hawaii si colorarono di rosso sangue a causa di intense e variopinte aurore, la cui causa era da riportare a quelle luci che Carrington la mattina precedente aveva avuto la fortuna di poter osservare, ed altro non erano che flare, esplosioni magnetiche che avvenivano sulla superficie solare.

Vento solare

Il vento solare è un flusso di particelle cariche emesso dall’alta atmosfera del Sole: esso è generato dall’espansione continua nello spazio interplanetario della corona solare. Questo flusso è principalmente composto da elettroni e protoni con energie normalmente compresi tra 1.5 e 10 keV. Il flusso di particelle mostra temperature e velocità variabili nel tempo e con andamenti legati al ciclo undecennale dell’attività solare. Queste particelle sfuggono alla gravità del Sole per le alte energie cinetiche in gioco e l’alta temperatura della corona che accelera, trasferendo ulteriore energia, le particelle. Negli anni trenta, gli scienziati avevano determinato che la temperatura della corona solare doveva essere di un milione di gradi Celsius a causa della maniera in cui risaltava nello spazio (quando vista durante un’eclissi totale). Studi eseguiti con lo spettroscopio confermarono questo livello di temperatura. A metà degli anni cinquanta il matematico britannico Sydney Chapman calcolò le proprietà che doveva avere un gas a quella temperatura e determinò che era un conduttore di calore tale che doveva estendersi grandemente nello spazio, ben oltre l’orbita della Terra. Sempre negli anni ’50 lo scienziato tedesco Ludwig Biermann studiò le comete e il fatto che la loro coda puntava sempre in direzione opposta al Sole. Biermann postulò che ciò avvenisse a causa dell’emissione da parte del Sole di un flusso costante di particelle in grado di spingere lontano alcune particelle ghiacciate della cometa, formandone la coda. Eugene Parker capì che il flusso di calore dal sole nel modello di Chapman e la coda della cometa soffiata via dal sole nell’ipotesi di Biermann dovevano essere il risultato dello stesso fenomeno. Parker dimostrò che sebbene la corona solare fosse fortemente attratta dalla forza di gravità del sole, era un tale buon conduttore di calore che era ancora molto calda a grandi distanze. Poiché la forza di gravità si indebolisce con il quadrato della distanza dal Sole, la corona solare esterna sfugge nello spazio interstellare L’opposizione all’ipotesi di Parker sul vento solare fu forte. L’articolo che sottopose all’Astrophysical Journal nel 1958 venne rifiutato dai due revisori. Venne salvato dal correttore di bozze Subrahmanyan Chandrasekhar (meglio noto come Chandra, che nel 1983 ricevette il Premio Nobel per la fisica). Negli anni sessanta l’ipotesi venne confermata mediante osservazioni dirette da satellite del vento solare. Comunque l’accelerazione del vento solare non è ancora chiara e non può essere spiegata dalla teoria di Parker. Il vento solare è un plasma tenuissimo, la cui componente di ioni è formata, normalmente, per il 95% da protoni ed elettroni (in proporzione circa uguale) e per il 5 % da particelle alfa (nuclei di elio) con tracce di nuclei di elementi più pesanti. Vicino alla Terra, la velocità del vento solare varia da 200 km/s a 900 km/s, mentre la sua densità varia da alcune unità a decine di particelle per cm cubo. La velocità del vento solare è nettamente superiore allavelocità di fuga di tutti i pianeti del sistema solare, essendo la più alta (quella di Giove) pari a soli 59.54 km/secondo: il moto prosegue in linea retta, non deviato dalle orbite dei pianeti. Pertanto, il vento solare impiega da 2 a circa 9 giorni per percorrere i 149.600.000 km che mediamente separano la Terra dal Sole. Il Sole perde circa 800 milioni di kg di materiale al secondo eiettandolo sotto forma di vento solare (rispetto alla massa del Sole questa perdita è del tutto insignificante). Il plasma del vento solare porta con sé il campo magnetico del Sole in tutto lo spazio interplanetario fino ad una distanza di circa 160 unità astronomiche (una unità astronomica rappresenta la distanza media tra la Terra ed il Sole). Poiché le linee di forza del campo magnetico del vento solare rimangono collegate alla loro origine nella fotosfera, l’espansione radiale del vento solare dal Sole e la rotazione di questo (periodo 28 giorni) fanno sì che le linee del campo magnetico si curvino in modo da formare una spirale. Il vento solare interagisce con il campo magnetico terrestre e lo confina in una regione di spazio detta magnetosfera. Le variazioni nel tempo della pressione dinamica del vento solare e dell’intensità e orientazione del suo campo magnetico perturbano in modo a volte drammatico la magnetosfera terrestre. Tali perturbazioni, insieme con gli effetti di altri disturbi provenienti dal Sole, sono oggetto di studio da parte di una disciplina emergente, la cosiddetta “meteorologia spaziale”. Tra tali effetti vi sono, ad esempio, il danneggiamento delle sonde spaziali e dei satelliti artificiali e la ben nota aurora boreale e quella australe. Altri pianeti con campi magnetici simili a quelli della Terra hanno anch’essi le loro aurore. Il vento solare crea una “bolla” nel mezzo interstellare (che è composto dal gas rarefatto di idrogeno ed elio che riempie la galassia), che prende il nome di eliosfera. Il bordo più esterno di questa bolla è dove la forza del vento solare non è più sufficiente a spingere indietro il mezzo interstellare. Questo bordo è conosciuto come eliopausa, ed è spesso considerato come il confine esterno del sistema solare. La distanza dell’eliopausa non è conosciuta con precisione. Probabilmente è molto più piccola sul lato del sistema solare che si trova “davanti” rispetto al moto orbitale del sistema solare nella galassia. Potrebbe anche variare a seconda della velocità del vento solare al momento, e a seconda della densità locale del mezzo interstellare. Si sa che è ben oltre l’orbita di Plutone. Le sonde spaziali Voyager 1 e Voyager 2, dopo aver terminato la loro esplorazione planetaria, si stanno dirigendo verso l’esterno del sistema e si spera che arrivino fino all’eliopausa. La correlazione tra vento e macchie solari è stata smentita dal confronto fra il comportamento del sole durante il minimo di attività elettromagnetica del 1996, e quella molto più elevata del 2008. In modo più evidente, si è manifestata a gennaio 2012 con la maggiore tempesta solare registrata da sette anni, in corrispondenza di un numero di giorni senza precedenti in assenza di macchie solari. L’indice KP è un indicatore dell’attività geomagnetica del pianeta, calcolato come media delle misure effettuate dell’indice K presso 13 osservatori in tutto il mondo. Fu introdotto da Bartels nel 1949 ed è stato calcolato, fin da allora, presso l’Istituto di Geofisica dell’Università di Gottinga in Germania (Institut für Geophysik of Göttingen Universty). Lo storico dei valori parte dal 1932. Nel 1951 è stato ufficialmente adottato come indice geomagnetico dalla IAGA (International Association of Geomagnetism and Aeronomy).
Tratto da Wikipedia

Brillamento record per il Sole

Finalmente il Sole inizia a fare sul serio. Finora questo 2013, che segna il picco nel suo ciclo di attività che si ripete ogni 11 anni, è stato relativamente tranquillo per la nostra stella, che non ha prodotto gli eventi violenti che gli esperti si aspettavano fino a qualche mese fa. Ma fra il 13 e il 14 maggio, ha prodotto tre brillamenti di classe X di intensità crescente: prima uno di classe X 1.7, poi alle 18:05 ora italiana un brillamento di classe X 2.8, e per finire alle 3:17 ora italiana del 14 maggio un flare di intensità X 3.2. E’ stato il flare più potente di quest’anno, e il terzo più potente di questo ciclo, battuto solo dal flare di classe X 6.9 del 9 agosto 2011. Tutti e tre i flare di questi giorni sono stati accompagnati da espulsioni di massa coronale, un altro tipo di evento solare che proietta grandi quantità di particelle dalla corona solare nello spazio. Sono proprio questi flussi di particelle che possono danneggiare il funzionamento di satelliti artificiali e sistemi di telecomunicazione sulla Terra. In questo caso l’espulsione di massa coronale non era rivolta verso la Terra. Tuttavia tre satelliti della NASA (STEREO-B, Messenger e Spitzer) erano sulla sua traiettoria. I loro team si sono attivati per mettere i satelliti in modalità “sicura”, per proteggere gli strumenti dal flusso di materia proveniente dal Sole. I flare (potenti emissioni di radiazione dal Sole) di classe X sono in assoluto i più potenti: il numero che accompagna la lettera specifica ulteriormente la loro intensità: un flare di classe X 2 è due volte più potente di uno di classe X 1, uno di classe X 3 tre volte più intenso, e così via.
Redazione Media Inaf

I delicati equilibri del Sole

Macchie, brillamenti, emissioni di massa coronali. I fenomeni più eclatanti e violenti che produce il Sole sono tutti legati da un unico, potente motore che li alimenta. È il campo magnetico solare che con la sua dinamica regola praticamente tutte quelle che sono le manifestazioni dell’attività della nostra stella. Una dinamica che è profondamente legata a quello che avviene nella zona convettiva del Sole, ovvero nel guscio che va da una profondità di circa 200.000 chilometri fin quasi alla sua superficie. In questa regione, l’energia prodotta dalla fucina nucleare al centro della stella viene trasportata verso l’esterno attraverso lo spostamento del plasma, che risalendo si raffredda per poi ridiscendere. Un po’ come accade in una pila  di acqua bollente. In questi moti turbolenti il plasma attraversa il campo magnetico interno del Sole producendo, come una gigantesca dinamo, intense correnti elettriche in grado di rafforzare il campo magnetico. Campo magnetico che in parte viene trasportato in superficie dal plasma stesso, andando a modellare l’atmosfera solare e trasferire in essa energia. Dietro a questa visione che oggi abbiamo del fenomeno della dinamo solare, seppur piuttosto completa e dettagliata, si celano notevoli complicazioni quando gli scienziati tentano di ricostruirla tramite simulazioni al computer. I problemi sono sostanzialmente di due tipi: il primo riguarda i modelli stessi che descrivono il comportamento di un ambiente così complesso come l’interno di una stella e le interazioni del plasma in movimento con i campi magnetici. Le equazioni in gioco devono tenere conto di fenomeni di tipo turbolento, assai difficilmente riproducibili se non tramite complessi insiemi di equazioni. Il secondo è la sua naturale conseguenza. Per ricostruire il comportamento del nostro Sole dal punto di vista globale è infatti necessaria una potenza di calcolo grandissima. Questa richiesta di computer super potenti cresce esponenzialmente se si cercano simulazioni sempre più accurate. Nuovi e incoraggianti sviluppi in questo settore vengono riportati in un articolo apparso online sulla rivista Science e scritto da Paul Charbonneau, dell’Università di Montreal e Piotr Smolarkiewickz dell’European Centre for Medium Range Weather Forecasts di Reading, nel Regno Unito. I due ricercatori, specialisti di modellistica solare, sottolineano come grazie a recenti simulazioni, sia stato riprodotto in modo piuttosto regolare e continuativo il fenomeno dell’inversione della polarità del campo magnetico della nostra stella. L’inversione risulta verificarsi ogni 40 anni circa, un intervallo di tempo che è ancora quasi quattro volte maggiore di quello che avviene in realtà nel Sole, ma comunque un significativo passo avanti rispetto alle altre simulazioni ‘concorrenti’ finora proposte che, in taluni casi, hanno fornito risultati contraddittori o addirittura del tutto opposti a quello che è il comportamento della nostra stella. Si può migliorare questo risultato? Secondo i ricercatori la risposta è certamente affermativa, ma i risultati non saranno facili da ottenere, perché i prossimi passi saranno quelli di inserire nelle future simulazioni fenomeni considerati ‘minori’  ma che potrebbero essere invece determinanti nel sostenere l’inversione dei poli magnetici nel Sole. “Dal punto di vista teorico, uno dei problemi centrali per far funzionare correttamente il modello della dinamo solare è quello di assumere per il plasma un flusso turbolento “realistico” (legato alla convezione) a grandi scale spaziali, tenendo contemporaneamente in conto la viscosità turbolenta associata ai campi magnetici sulle piccole scale spaziali” commenta Alessandro Bemporad, dell’Osservatorio Astrofisico di Torino dell’INAF. “D’altro canto, è anche necessario conciliare la naturale intermittenza dei campi magnetici turbolenti su brevi intervalli temporali e l’esistenza di strutture che restino coerenti su tempi scala molto lunghi. Tenere conto di un intervallo così elevato di scale spaziali e temporali richiede capacità computazionali ancora non del tutto disponibili. Il lavoro pubblicato è tuttavia un primo importante tentativo di spiegare come un delicato equilibrio quasi stazionario nel Sole tra l’induzione del campo ed i flussi di plasma a grandi scale possa esistere solo fornendo un’adeguato trattamento nel modello dei processi dissipativi alle piccole scale spaziali. In questo modo è possibile capire come alle intensificazioni del campo magnetico alla base della zona convettiva distribuite a tutte le longitudini ed a latitudini intermedie possa poi risultare in superficie nei moti convettivi e nella formazione di macchie solari che si osservano emergere sulla fotosfera del Sole”.
di Marco Galliani (INAF)