Progettare viaggi interstellari

Se noi esseri umani non rincorressimo idee ambiziose, anche quelle tanto ambiziose da sembrare folli, non saremmo qui oggi. Di sicuro, l’esplorazione dello spazio non sarebbe mai nemmeno cominciata. Quindi perché non cominciare a ragionare seriamente sull’ipotesi, per quanto remota, di un viaggio interstellare che un giorno porti la nostra specie ben oltre i confini del sistema solare? É quello che ha fatto la conferenza Starship Congress, che tra il 15 e il 18 agosto ha riunito a Dallas astronomi, ingegneri spaziali, economisti, antropologi accomunati dal sogno del viaggio interstellare. Quattro giorni di tavole rotonde e conferenze organizzate da Icarus Interstellar, una organizzazione di ricerca no profit la cui missione è rendere possibile il viaggio interstellare entro il 2100. Quattro giorni che sono giunti a una conclusione pressoché unanime: per quanto grandi siano gli ostacoli tecnici, la specie umana deve sviluppare sul lungo periodo la capacità di effettuare viaggi interstellari, se vuole realizzare pienamente il suo potenziale. E se vuole mettersi al sicuro dal rischio di una sua estinzione, che fatalmente diverrà sempre più grande di generazione in generazione.
La Terra, tanto per cominciare, è esposta costantemente al rischio di un impatto catastrofico con un asteroide. Gli astronomi che li studiano sono oggi in grado di dirci con sufficiente sicurezza che nessuno di dimensioni preoccupanti ci colpirà nel prossimo secolo. Ma questo può bastare sì e no a tranquillizzare noi, i nostri figli e forse i nostri nipoti. Dopodiché, i nostri eredi dovranno incrociare le dite o sperare che nel frattempo qualcuno abbia creato per tempo un sistema anti meteorite. Senza contare che il nostro pianeta ha comunque una data di scadenza, per quanto lontana, legata alla fine della nostra stella tra qualche miliardo di anni.
Ben prima di allora, come hanno evidenziato due speaker alla conferenza i futurologi Heath Rezabek e Nick Nielsen, l’umanità corre il rischio di sfruttare fino all’esaurimento le risorse del pianeta Terra e andare incontro nella migliore delle ipotesi a una “stagnazione” che porterà a un costante peggioramento delle condizioni di vita delle future generazioni di esseri umani nel corso dei secoli e dei millenni.
Che fare allora? Realizzare un viaggio interstellare, che sia con un veicolo autonomo o con una vera e propria corazzata stellare che trasporti un’intera popolazione umana verso altri mondi da colonizzare, richiederebbe il lavoro di più generazioni attraverso almeno un secolo se non di più. Un po’ come la costruzione delle grandi cattedrali nel passato: chi le progettava e chi posava le prime pietre non aveva alcuna speranza di vederle finite, ma trasmetteva alle generazioni successive le competenze necessarie e la visione da cui nasceva il progetto. Come giustificare oggi un’impresa del genere, di fronte alla crisi economico-finanziaria del mondo occidentale e di fronte agli enormi problemi che ancora pesano su gran parte dell’umanità, a cominciare da povertà, denutrizione e malattie? Non sarebbe meglio affrontare prima quei problemi? I partecipanti alla conferenza se lo sono chiesto, ma come spesso avviene quando si parla dell’impresa spaziale, hanno risposto che la domanda è mal posta. Semplicemente iniziare a lavorare su un progetto del genere costringerebbe a sperimentare e sviluppare nuove tecnologie (dall’energia alla medicina alla conservazione dei cibi) che avrebbero comunque un impatto immediato sull’economia terrestre e sul miglioramento complessivo delle condizioni di vita, qualcosa che una tecnologia concentrata su obiettivi a breve termine non potrebbe mai ottenere.
Certo, i problemi sono enormi. Sistemi di propulsione, di terraforming, di produzione di energia…tutti temi ampiamente trattati a Dallas. Ma prima ancora, servirebbe un sistema economico diverso, in grado di procurare le enormi risorse finanziarie necessarie a sostenere un programma di ricerca e sviluppo della durata di diversi decenni. Come ha spiegato l’economista Armen Papazian, “l’infrastruttura economico-finanziaria del mondo crea un collo di bottiglia evolutivo” per la nostra specie. Il “classico” sistema dell’acquisto del debito pubblico degli Stati da parte di investitori e risparmiatori non potrebbe mai finanziare un’impresa di questo tipo. Qualche speranza può venire dai progetti di sfruttamento minerario degli asteroidi, che rappresenterebbe una fonte extra di ricchezza per la nostra specie.
In ogni caso, molti speaker alla conferenza si sono detti d’accordo che la chiave per arrivare ai viaggi interstellari sia trasformare prima il Sistema solare in una risorsa da sfruttare. Per estrarre materiali e fonti di energia da altri pianeti, per costruire avamposti verso obiettivi più lontani, per testare sistemi di propulsione e atterraggio che potrebbero un giorno portare i nostri discendenti su mondi abitabili, o per capire come renderli abitabili.
Sembra folle? A molti probabilmente sì, ma non sembrava altrettanto folle andare sulla Luna solo qualche decennio prima? Di certo la conferenza di Dallas ha mostrato che c’è una comunità scientifica e tecnica che prende molto sul serio l’idea del viaggio interstellare, e che non vede l’ora di iniziare a lavorarci. Anche se i frutti del lavoro, nella migliore delle ipotesi, li vedrebbero solo i loro pronipoti.
di Nicola Nosengo (INAF)

Su Venere il vento soffia a ben 400 km all’ora

Già sembravano velocissimi sette anni fa, quando la sonda Venus Express raggiunse l’orbita di Venere. Ma da allora i venti che percorrono l’atmosfera del pianeta sono aumentati costantemente, come rivela l’ultima analisi dettagliata dei movimenti delle nuvole condotta proprio da quella stessa missione. Nei sei anni terrestri (corrispondenti a 10 anni venusiani) coperti dall’analisi, la velocità media dei venti misurati sopra le nuvole, a latitudini di 50 gradi sopra e sotto l’equatore, è passata da 300 km all’ora a 400 km all’ora. Lo dimostrano due studi separati, entrambi basati sui dati di Venus Express, pubblicati su Icarus l’uno e su The Journal of Geophysical Research l’altro. La rapida rotazione dell’atmosfera è una delle caratteristiche più peculiari di Venere: essa fa un giro completo attorno al pianeta in quattro giorni terrestri, mentre la rotazione del pianeta stesso richiede 243 giorni terrestri. Gli autori dell’articolo su Icarus, guidati da Igor Khatuntsev dello Space Research Institute di Mosca, hanno misurato il movimento delle strutture nuvolose più riconoscibili nelle immagini di Venus Express: un lavoraccio, visto che hanno dovuto seguire a mano, frame per frame oltre 45 000 nuvole (altre 350 000 le hanno fatte tracciare automaticamente da un programma al computer). L’altro gruppo, giapponese, ha utilizzato un diverso sistema di tracciamento delle nuvole per calcolare la velocità dei venti che le spostano. Le due analisi concordano e fissano la velocità media a 400 km all’ora. “E’ un aumento enorme di velocità che erano già molto alte. Una variazione così grande non si era mai osservata su Venere, e non capiamo perché sia avvenuta” ammette Khatuntsev. Accanto all’aumento della velocità media sul lungo periodo, gli autori hanno però misurato anche variazioni regolari sul breve termine, dovute alle diverse fasi del giorno, l’altezza del Sole sull’orizzonte e la rotazione del pianeta. In particolare, c’è un’oscillazione regolare che si verifica ogni 4,8 giorni nelle zone equatoriali, probabilmente collegata a onde atmosferiche che si verificano a bassa quota.
di Nicola Nosengo (INAF)

Tempeste in arrivo su Titano

Se è difficile il mestiere dei meteorologi sulla Terra (chi l’aveva prevista, la gelida tarda primavera di quest’anno?) figuratevi quello di chi cerca di prevedere il tempo su Titano, la più grande delle lune di Saturno. Eppure c’è chi ci prova, e se due modelli al computer sviluppati dal team della missione Cassini sono corretti, la stagione estiva che si sta avvicinando su Titano porterà eventi estremi: uragani e grandi onde spazzeranno i suoi mari di idrocarburi. I modelli servono a programmare meglio il lavoro di Cassini, permettendogli di concentrarsi con un po’ di preavviso su fenomeni atmosferici particolarmente interessanti. “Sappiamo che su Titano ci sono processi atmosferici simili a quelli terrestri”, spiega Scott Eddington, deputy project scientist di Cassini alla NASA, “ma ci sono anche grandi differenze dovute alla presenza di liquidi insoliti come il metano. Non vediamo l’ora di scoprire se le nostre previsioni si riveleranno esatte.
Sulla parte nord di Titano sta iniziando la primavera: dall’agosto del 2009, data dell’equinozio, questa regione, che era al buio quando la sonda Cassini iniziò a studiarla, riceve la luce del Sole. Le stagioni di Titano prendono circa sette anni terrestri. Entro il 2017, data della fine della missione Cassini, Titano arriverà al solstizio settentrionale, e l’emisfero nord sarà quindi in piena estate.
Vista la quantità di dune osservate su Titano, gli scienziati si chiedevano perché non avessero ancora visto onde spinte dal vento sui suoi laghi e mari. Un team guidato da Alex Hayes, membro del team radar di Cassini, ha provato a spiegare quanto vento sarebbe necessario per generare onde. Il loro modello è stato appena pubblicato sulla rivista Icarus. “Ora sappiamo che le velocità del vento finora erano al di sotto della soglia necessaria per generare onde”, ha detto Hayes. “Quello che è emozionante, però, è che la velocità del vento prevista durante la primavera e l’estate del nord si avvicinano a quelle necessarie per generare onde eoliche nell’etano liquido e nel metano”.
Il nuovo modello dice che venti da 2-3 chilometri all’ora sono necessari per generare onde sui laghi di Titano, una velocità che non è ancora stato raggiunta da quando Cassini studia il pianetino. Ma ora che sull’emisfero nord si avvicinano la primavera e l’estate, altri modelli predicono che i venti arrivare a 3 chilometri all’ora o più. A seconda della composizione dei laghi, quei venti potrebbero produrre onde da 0,15 metri di altezza in su.
L’altro modello è dedicato agli uragani, ed è sempre pubblicato su Icarus. Prevede che il riscaldamento dell’emisfero nord potrebbe produrre anche uragani, simili ai cicloni tropicali che sulla Terra traggono energia dall’accumulo di calore derivato dall’evaporazione dell’acqua di mare. Il lavoro di Tetsuya Tokano dell’Università di Colonia, in Germania, dimostra che gli stessi processi potrebbe essere al lavoro su Titano, con il metano al posto dell’acqua. Il periodo più propizio per questi uragani sarebbe il solstizio d’estate settentrionale di Titano, quando la superficie dei mari diventa più calda e il flusso di aria vicino alla superficie diventa turbolento. L’aria umida, girando in senso antiorario sulla superficie di uno dei mari del nord, potrebbe produrre venti fino a circa 70 chilometri all’ora.
di Nicola Nosengo (INAF)